Da Caino a Putin. La guerra come fil rouge della storia

di Umberto Baldo

Ieri riflettevo sul fatto che nella Genesi, il primo libro della Bibbia, si parla di un fratello che uccide il fratello.

Ma la rivalità tra due fratelli all’alba della civiltà ha molti paralleli nelle mitologie antiche: ricordiamo Osiride e Seth nella religione egizia, o Romolo e Remo nella storia della fondazione di Roma.

Senza voler fare della filosofia “un tanto al metro”, se la violenza è presente fin dagli albori dell’umanità, ciò farebbe concludere che la violenza in generale è un istinto da sempre esistente nell’uomo, poiché a lui connaturato.

Provate a pensare un attimo ai vostri studi di storia.

Non parlo di studi particolari, ma semplicemente di quelli che si fanno nel normale ciclo dalle elementari alle superiori.

In fondo cos’è la storia se non un infinito elenco di guerre?

Certo nella narrazione storica ogni conflitto ha le sue ragioni; le guerre di religione, le guerre coloniali, le guerre di successione, le guerre civili, le guerre di liberazione; tutte  hanno le loro cause, vicine o lontane, contingenti o strutturali.

Le guerre, al di là del senso che quasi sempre si è loro attribuito, seguono la civiltà come un’ombra, a meno che non la precedano, o che non ne siano la causa. 

Ne rappresentano la faccia oscura. 

E c’è poco da girarci attorno; minacciate di distruzione dalla guerra, tutte le civiltà le devono tuttavia la propria origine.

Chi mi conosce, o legge quello che scrivo, sa bene che io sostengo spesso che la mia generazione è forse la generazione più fortunata della storia.

Non solo perché ha potuto vedere cose che neppure Leonardo da Vinci si sarebbe potuto immaginare, ma soprattutto perché ha potuto godere di  ottant’anni di “pace in Europa”.

Forse non ci avete mai pensato, ma fin dai tempi degli antichi romani, un periodo così lungo senza guerre il nostro Continente non lo ha mai visto nel corso di tutta la sua storia.

Basta che vi prendiate un manuale di storia, e potrete constatare che ho ragione.

Noi europei di oggi la guerra l’abbiamo conosciuta solo dai racconti dei nostri nonni e dei nostri padri, e solo in questo modo abbiamo percepito il “senso tragico” della storia

Pensate solo alla “sfiga” dei cosiddetti “ragazzi del ’99” (parlo del 1899), che vennero chiamati alle armi nel 1917 e “si fumarono” la fine della Prima guerra mondiale.  E pensate che alcuni di loro fecero in tempo a combattere anche nel corso della Seconda guerra mondiale.

Pensate un po’; da Caporetto ad El Alamein a Stalingrado in pochi anni. 

Dopo gli orrori di questi due conflitti, quel senso tragico della storia cui accennavo si era allontanato, affievolito, e noi siamo cresciuti nell’idea del “mai più guerra”.

Questo ha prodotto nella nostra cultura, e nelle nostre menti, la convinzione che, nonostante nel resto del mondo le guerre non siano mai finite, in Europa si fosse entrati stabilmente in uno stato post-bellico.

Questo “mondo di pace” ci è scoppiato in mano il 24 febbraio di due anni fa, quando ai confini ucraini si sono materializzate le lettere “Z” dipinte sui carri armati russi. 

Quel 24 febbraio cominciano a sorgere in noi i dubbi sull’illusione della “pace sistemica”.

In realtà il temporale non è ancora arrivato sopra le nostre teste, però sentiamo i tuoni e vediamo i lampi, e questo ci fa pensare che probabilmente dopo ottant’anni potrebbe piovere.

Comunque il dato di fatto è che non c’è più un cielo limpido com’era negli scorsi decenni. 

Non mi soffermerò sulla guerra in Ucraina, tanto come la penso sulla violazione del territorio di uno Stato sovrano non l’ho mai nascosto, come pure non parlerò del conflitto di Gaza.

No, io voglio tornare all’inizio del mio ragionare.

E ad uno spettro che comincia a circolare, quello dello scontro inevitabile fra gli Europei e la Russia, che a ben guardare storicamente è anch’essa Europa.

Io lo so bene che il mio insistere sulla necessità ineludibile di mettere in campo una “difesa comune europea”  e di conseguenza di adeguare la quantità ed il livello dei nostri armamenti, mi può far apparire come un “guerrafondaio”.

Il problema, almeno secondo me, è che ci sono in giro molti, troppi “dottori in ottimismo” che garantiscono che Putin non ha alcuna intenzione di invadere altri Stati, e che basta convincere gli Ucraini che è meglio che se le mettano via e lascino ai russi quanto hanno conquistato, per ritornare allo stato di pace permanente, con tanto di colombe volteggianti nei cieli. 

Purtroppo non è così!  

Anche perché il mondo è un po’ più grande della nostra vecchia cara Europa, e noi ormai non ne siamo più al centro. 

Ce lo insegnavano quando eravamo bambini, e lo leggevamo più grandicelli nella favola di Fedro de “il lupo e l’agnello”, che per fare la pace bisogna essere almeno in due, mentre per farsi la guerra basta uno solo.

Lo stiamo vedendo dopo l’orrendo ed esecrabile attentato a Mosca che, nonostante la rivendicazione dell’Isis, e addirittura ai video diffusi dallo Stato Islamico, Putin non rinuncia ad indirizzare caparbiamente  sospetti verso gli Ucraini.

Parafrasando Fedro, cosa impedirà allo Zio Vladimir di accusarci  fra qualche anno di intorbidirgli l’acqua anche se noi stiamo a valle, o di parlare male di lui?

E se molti europei, e fra questi leader politici come Matteo Salvini o Marine Le Pen sono convinti che noi invece “siamo a monte”, come se ne potrebbe uscire?

Capite bene che in un clima del genere il cosiddetto “cigno nero” potrebbe sempre succedere, e allora tutti i discorsi, tutte le buone intenzioni, diventerebbero di colpo inutili.

Un esempio?

Nel 1914 a Sarajevo lo studente serbo Gavrilo Princip scaricò la sua pistola contro l’erede al trono d’Austria Ungheria, l’Arciduca Francesco Ferdinando, uccidendolo.

Il classico “cigno nero”, un episodio inaspettato, che però di primo acchito non suscitò quelle reazioni che ci hanno fatto credere per lungo tempo.

La prima guerra mondiale non scoppiò per quella morte, ma perché il clima era propizio, gli Stati europei armati fino i denti si temevano e si odiavano, e alla fine scaricarono le tensioni sui campi di battaglia.

E come nel 1914 fu nel 1939, nonostante allora non ci fosse Internet, e  l’informazione su quanto accadeva influenzasse molto meno le opinioni pubbliche, anche per le censure totalitarie vigenti presso alcuni Stati, fra cui l’Italia fascista. 

Certo si potrebbe concludere che in fondo a prevalere sarà sempre il “lato oscuro” dell’uomo, rimasto lo stesso dall’età delle caverne ad oggi.

Può essere.  Non ho certezze al riguardo, anche se sono incline a crederci.

E allora che si fa?

Ho già scritto spesso che, a mio avviso, giocoforza si dovrebbe applicare il vecchio principio “Si vis pacem para bellum”, “Se vuoi la pace, prepara la guerra”. 

Certo non risolve alcun problema, e sono conscio che non garantisce che la pace regni sovrana, o che qualche “dittatorucolo” non decida si spararci addosso qualche missile. 

Ma nessuno fra i nostri “pacifinti” è ancora riuscito a convincermi che sia meglio quest’altro principio: “Se vuoi la pace, prepara la resa”.

Immagino che a questo punto, sempre che ci siate arrivati, vi troviate un po’ confusi di fronte a questo dilemma: vale la pena fare gli agnelli sperando nella clemenza del lupo, oppure fare i lupi sperando di scoraggiare il lupo, e indurlo a trattare?    

Entrambe potrebbero essere opzioni valide, non dimenticando però il rischio che i lupi possano decidere di sbranarsi comunque a vicenda.

Ma sono lupi con gli arsenali atomici ben forniti.


Pubblicato da Massimo Masi

Blog di Massimo Masi. Bolognese di nascita, piantato nella pianura, con una forte propaggine verso il mare. Non sono più quello di ieri, non so come sarò domani. Ma posso dirti come sono oggi, con i miei ieri (Alda Merini)