Formazione lavoro, Italia sempre più indietro in Europa: il decalogo per dare la svolta


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di Michele Tamburrelli*

L’importanza della formazione è un mantra recitato da sindacalisti, imprenditori, politici ed economisti, ma l’Italia risulta sempre indietro. Perché?

L’Italia si trova costantemente agli ultimi posti nelle classifiche europee sulla formazione degli adulti, i dati del 2022 indicano un drastico calo nella partecipazione ai corsi di formazione rispetto agli anni precedenti e le aziende, soprattutto le microimprese, sono restie a investire nella formazione dei propri dipendenti. Siamo in fondo alle classifiche in Europa per la formazione degli adulti: siamo scivolati al diciottesimo posto nel 2022 dopo esserci attestati per molto tempo al quindicesimo (dati Inapp 2023). Siamo tra gli ultimi paesi per la diffusione dei fondi interprofessionali: peggio di noi fanno solo Grecia e Polonia (fonte Unioncamere – Anpal, Sistema informativo Excelsior, 2022 su elaborazione Enzima 12, rapporto sulla formazione 2023).

Le persone con età compresa tra i 25 e 64 anni che in Italia hanno partecipato a corsi di formazione nel 2021 sono calati rispetto a quelli dell’anno precedente (Elaborazione INAPP 2022, su dati Eurostat, Labour Force Survey) e il tasso di partecipazione ai corsi di formazione è inversamente proporzionale all’età dei lavoratori. L’obiettivo della Commissione Europea per gli adulti (47% entro il 2025 e del 60% entro il 2030) sembrano essere ben lontani per il nostro paese. Guardando alle aziende le cose non vanno meglio. In Italia, solo un lavoratore su 5 fra gli addetti delle microimprese ha partecipato ad almeno un corso di formazione, mentre sono 3 su 5 i formati nelle grandi imprese (fonte INAPP 2023 su Indagine INDACO-Imprese 2022).
Se si guarda ai soggetti a cui si rivolgono le aziende per la consulenza sulla realizzazione dei corsi di formazione, anche se con leggere differenze tra i diversi settori e per dimensioni aziendali, spicca il ruolo dei consulenti del lavoro (42,4%); solo al secondo posto, discretamente distanziate, le società di formazione (27,9%) e terze le associazioni di categoria (26,7%) (dati Unioncamere – Anpal, Sistema informativo Excelsior, 2022).

Insomma molte carenze, confusione di ruoli e potenzialità inespresse che andrebbero colte, considerando anche l’importanza che riveste la formazione per il futuro del nostro paese e del mercato del lavoro su tematiche quali la digitalizzazione, l’impatto dell’intelligenza artificiale e la sostenibilità ambientale.

Se le cose procederanno in questo modo, probabilmente il prossimo anno e quello successivo saremo nuovamente qui a recriminare e a constatare la necessità di formare di più e meglio. Non sarebbe il momento quindi di cambiare marcia per cercare di dare una scossa a questo trend desolante? Consapevole che le cose che leggerete potrebbero apparire radicali, proverò a proporre alcune idee, certamente non esaustive per impossibilità di approfondire in questa sede: una sorta di decalogo che consenta finalmente di affrontare “di petto” questo tema.

a) Incentivare la formazione. Le aziende che trascurano la formazione dovrebbero essere soggette a una maggiore contribuzione o fiscalità, per sottolineare l’importanza di questo investimento.
b) Ruolo della contrattazione collettiva. mettere al centro della contrattazione collettiva la formazione: non basta istituire enti bilaterali e fondi interprofessionali o infarcire i contratti di buone intenzioni se poi la formazione non viene praticata nelle dinamiche negoziali, con buona pace per il diritto dei lavoratori ad essere formati.
c) Obbligatorietà della Formazione: Alcuni settori Alcuni temi della formazione dovrebbero essere resi obbligatori, come già avviene per la salute e sicurezza sul lavoro. Si tratta infatti di tutelare diritti supremi e costituzionalmente previsti quali il diritto al lavoro e il fare impresa, soprattutto quando la formazione riguarda la digitalizzazione e l’impatto delle nuove tecnologie. L’Italia è venticinquesimo posto con quasi il 45,5% (la media europea è del 54%) di popolazione in possesso di competenze digitali: l’obiettivo europeo per il 2030 è dell’80%.
d) Finanziamenti diretti ai lavoratori. I finanziamenti per la formazione dovrebbero essere direttamente accessibili ai lavoratori o agli individui interessati. Le persone potrebbero usufruire di congedi simili a quelli dei congedi parentali. In Svezia, paese dove si fa più formazione in Europa, è proprio questo il sistema che viene adottato, insieme a borse di studio per coprire le tasse universitarie e sovvenzioni per le fasce più deboli della popolazione.
e) Standard di certificazione omogenei. È necessario stabilire uno standard di certificazione delle competenze uniforme a livello europeo. Su questo tema si sono spesi fiumi di inchiostro ma l’adozione di un sistema omogeneo è ancora lontano dal realizzarsi.
f) Aggiornare il sistema scolastico. Se data analysis, data science, big data, machine learning, artificial intelligence, cybersecurity impatteranno maggiormente sulle imprese, che richiederanno sempre più professioni quali gli ingegneri, i tecnici, i medici, i tecnici ICT, gli specialisti in scienze informatiche e matematiche, perché il sistema scolastico e l’orientamento istituzionale non si adeguano di conseguenza?

Il suddetto elenco non è certo esaustivo. Anzi, i più attenti avranno notato che ho indicato inizialmente un decalogo ma in realtà ho citato solo sei potenziali punti di lavoro che potrebbero essere integrati. È tempo di agire per invertire la tendenza negativa. Sul tema della formazione è importante un cambio di passo che consenta di affrontare di petto immobilismi, abitudini malsane e logiche di procrastinazione per evitare di intervenire quando i buoi saranno già scappati. C’è molto da fare oggi per garantire un futuro migliore all’Italia grazie alla formazione.

* Laureato in diritto del lavoro e relazioni industriale presso la facoltà di Scienze Politiche di Milano, si è occupato della materia fin dai miei primi esordi nel sindacato, insegnando nei corsi ai rappresentanti sindacali, trattando i problemi vertenziali, sicurezza e di tutela dei lavoratori, operando nel settore terziario, turismo e servizi. Appassionato anche della materia della formazione ha diretto per diversi anni un ente riconosciuto.


Pubblicato da Massimo Masi

Blog di Massimo Masi. Bolognese di nascita, piantato nella pianura, con una forte propaggine verso il mare. Non sono più quello di ieri, non so come sarò domani. Ma posso dirti come sono oggi, con i miei ieri (Alda Merini)

2 Risposte a “Formazione lavoro, Italia sempre più indietro in Europa: il decalogo per dare la svolta”

  1. Carlo Negri (da Facebook)
    Sono assolutamente d’accordo sul fatto che tu abbia “acceso i riflettori” anche su questa ennesima (ed importante) carenza del “mondo del lavoro”

  2. Caro Carlo,
    i riflettori li ha accesi Michele Tamburrelli con questo bellissimo e saggio articolo. Il problema della formazione deve essere al centro dell’attività sindacale. Ho visto – nella mia vita – troppi scambi con la controparte tra formazione e altre acquisizioni. Quando si capirà che la formazione è fondamentale e necessaria, non sarà mai troppo tardi.

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