Questo è il secondo articolo sul Vietnam sempre scritto dal Ministro degli Esteri del blog, Umberto Baldo. Il primo articolo lo trovate a questo link Miracolo Vietnam: la corsa della nuova “Tigre”
Ci eravamo lasciati parlando di “miracolo Vietnam”.
Due sono i punti chiave che hanno consentito al piccolo Paese asiatico (che però ha quasi 100milioni di abitanti, la maggioranza dei quali sono giovani) di prosperare nel silenzio generale: la guerra dei dazi, che ha spinto moltissime multinazionali ad abbandonare la Cina per trasferirsi in Vietnam, così da tagliare costi ed evitare le tariffe, e la corsa alla quarta rivoluzione industriale. I Vietnam, infatti, è stata tra i primi Paesi a commercializzare i servizi 5G nelle telecomunicazioni globali.
Non dimenticate che il Vietnam di Ho Chi Min, quello della guerra con gli Usa, apparteneva all’orbita sovietica, m paradossalmente, il “miracolo” del Vietnam è stato reso possibile anche e soprattutto dalla Cina.
Senza gli investimenti cinesi, Hanoi non avrebbe avuto quello slancio che ora le consente di camminare con le proprie gambe.
Se da una parte è vero che le relazioni commerciali con Pechino continuano a crescere, dall’altra cresce anche la percezione, e forse la paura, da parte dei vietnamiti, che il Dragone possa in qualche modo minacciare la propria sovranità nazionale.
E cosa si fa in questi casi?
Si usa la cosiddetta “politica dei due forni”.
E così in un perfetto gioco d’equilibrio, per evitare che le ambizioni cinesi superino certi limiti (non dimenticate che la Cina ha tentato di invadere il Vietnam nel 1979) il Vietnam ha imparato a gestire al meglio il rapporto instaurato con gli Stati Uniti.
E così Washington è diventato un partner strategico fondamentale di Hanoi, in grado, con la sua presenza ingombrante, di addomesticare o comunque indurre la Cina a più miti consigli.
Il tutto non trascurando la Russia, che a differenza di quanto si possa pensare, da queste parti continua a mantenere un discreto appeal.
In altre parole, Machiavelli applaudirebbe sicuramente, se il Vietnam vuole continuare a crescere dovrà essere in grado di approfittare a proprio vantaggio delle tensioni in atto tra Cina, Stati Uniti e Russia.
Solo giocando fra questi colossi, senza mai schierarsi del tutto con uno di loro, potrà continuare la propria strada per diventare una nuova “Tigre asiatica”.
Ma cosa rende così attrattivo il Vietnam per le grandi potenze?
Perché Xi Jinping e Joe Biden corteggiano i vietnamiti?
Per un qualcosa che non si vede, perché nascosto nel ventre del Paese.
Vi dice niente l’espressione “terre rare”?
Ebbene il Vietnam possiede la seconda più grande riserva stimata di terre rare – il gruppo di 17 elementi chimici essenziali per nutrire l’industria tecnologica ed elettronica – al mondo: 22 milioni di tonnellate.
Per aver un’idea di questo numero basti dire che in testa alla classifica c’è la Cina che “vanta” riserve per 44 milioni di tonnellate.
Non solo: nel 2022 il gigante asiatico è stato anche di gran lunga il principale produttore mondiale di terre rare, producendo circa 210.000 tonnellate.
Al terzo posto si collocano Brasile e Russia che hanno riverse pari a 21 milioni di tonnellate.
Gli Usa si posizionano “solo” al sesto posto con 2,3 milioni di tonnellate anche se, nel 2022, Washington ha registrato la seconda produzione più alta di terre rare nel mondo con 43.000 tonnellate.
E pensate che questo tesoro del Vietnam è ancora praticamente “intoccato”, perché le scarse capacità tecnologiche finora ne hanno impedito lo sfruttamento.
Non vi sembra che una ricchezza di queste proporzioni possa giustificare gli appetiti di Cina e Usa?
E allora via con le proposte, come è normale in questi casi.
E così la Cina ha firmato accordi che prevedono ad esempio la costruzione di una rete 5G e investimenti nelle infrastrutture sottomarine.
Pechino ha poi dichiarato di essere pronta a “offrire sovvenzioni al Vietnam per costruire la ferrovia tra Kunming e la città portuale vietnamita di Haiphong.
Guarda caso la ferrovia attraverserà il cuore del Paese proprio dove si trovano le terre rare.
Gli Usa, “cancellando” peraltro un passato segnato da una guerra che è ancora una ferita aperta nella coscienza di entrambi i Paesi, si sono impegnati ad aiutare Hanoi nella mappatura delle risorse, e ad attrarre investimenti internazionali di qualità.
Facile pronosticare che il “dossier Vietnam” contribuirà a rinfocolare la rivalità strategica fra Washington e Pechino, anche in considerazione che la Cina considera il Vietnam il proprio “cortile di casa”.
E a tale proposito sono comprensibili le diffidenze vietnamite rispetto all’incontenibile espansionismo cinese.
Vi ho già parlato tempo fa dei tentativi di Pechino di “appropriarsi” di numerose isole contese con le Filippine, Taiwan ed il Giappone.
Immagino ricorderete delle ambizioni cinesi sulle isole Spratly e Paracelso.
Nel contenzioso nel mar cinese meridionale è inevitabilmente coinvolto anche il Vietnam, e in virtù di queste “frizioni” i due Paesi hanno conosciuto il maggior momento di tensione dalla normalizzazione dei loro rapporti.
Tanto per fare un esempio nel 2014 la compagnia petrolifera statale cinese aveva installato la piattaforma Haiyang Shiyou 981 a sole 120 miglia nautiche dalle coste vietnamite, reclamando la potestà dei giacimenti in modo plateale e suscitando ostilità da parte di Hanoi.
Ne conseguì uno scontro tra pescherecci e guardie costiere che coinvolse centinaia di navi, vide l’impiego di cannoni ad acqua, e l’affondamento di un’imbarcazione vietnamita.
Non è un caso che Hanoi stia rafforzando la propria marina militare, con lo scopo di raggiungere il completo ammodernamento della propria flotta entro il 2030.
Ad Hanoi sanno bene che con Pechino non ci sarebbe storia, per cui l’obiettivo è chiaramente quello di esercitare una deterrenza, piuttosto che giungere a un improbabile scontro diretto con un avversario dalle capacità superiori.
E la deterrenza può essere rafforzata anche rafforzando legami diplomatici stretti con Paesi dell’area.
E sicuramente in quest’ottica la Marina Popolare del Vietnam ha partecipato a manovre congiunte con le Flotte di Paesi quali Giappone, Corea del Sud, Nuova Zelanda ed Australia.
Non solo; le navi di Hanoi fanno spesso visita in porti di Paesi come l’India e le Filippine, e perchè il messaggio fosse ancora più chiaro, già nel 2010 la USS George Washington è stata la prima portaerei a visitare il paese; a questo è seguito l’apertura della baia di Cam Ranh a tutte le marine dell’Area.
E nonostante tutto questo il Vietnam rimane ancorato al Libro bianco del 2019 destinato alle proprie forze armate, nel quale si enuncia il principio dei “quattro no”, che si traducono in questi principi: non aderire ad alleanze militari, non schierarsi con un paese contro un altro, non dare ad altri paesi il permesso di creare basi militari o di utilizzare il proprio territorio per svolgere attività militari contro altri paesi, né di usare la forza o minacciare di usare la forza nelle relazioni internazionali.
Come si vede si tratta di una politica che assomiglia molto ad un gioco di equilibrio.
Ma d’altronde è l’unica politica consentita ad uno Stato di piccole-medie dimensioni come il Vietnam quando deve convivere con un vicino ingombrante come la Cina.
Chiudo osservando che, mentre scrivevo, mi risuonava ancora nelle orecchie uno slogan urlato ossessivamente in ogni manifestazione contro la guerra del Vietnam: Ce n’est qu’un debut continuons le combat. Usa assassins libérez le Vietnam”.
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