Miracolo Vietnam: la corsa della nuova “Tigre”

Foto tratta dal web

Del Vietnam se ne sta parlando moltissimo, ultimamente, nel bene e nel male. Per gli amanti della tv non è un caso che la trasmissione Pechino Express – un programma di genere reality e avventura dove le coppie si sfidano a sopravvivere in un mondo sconosciuto – nell’edizione di quest’anno ha toccato anche lo “sconosciuto Vietnam”. Questo è il primo articolo sul Vietnam, il secondo lo troverete domani, sempre scritto dal Ministro degli Esteri del blog, Umberto Baldo.


di Umberto Baldo

Tutti i Paesi del mondo sono degni di essere di essere studiati, perché la storia di ciascuno rappresenta a mio avviso una tessera di quel grande puzzle che è la storia del mondo.

Ma ce ne sono alcuni le cui vicende, forse anche per puro caso, hanno assunto caratteristiche che oserei dire “mitiche”.

Un esempio è senz’altro Cuba, la cui rivoluzione, rivolta di un popolo contro la dittatura oppressiva di Fulgencio Batista, è diventata in Occidente il paradigma della lotta dei popoli oppressi contro il capitalismo.

Sfrondando il mito di Fidel Castro e Che Guevara, miti peraltro occidentali, in fondo la rèvolucion fu una delle tante lotte di liberazione nazionale che hanno caratterizzato la storia di tutto il Continente sud americano, e se non fosse stato per il posizionamento geografico dell’isola, e per la guerra fredda allora in atto fra Usa e Urss, sicuramente non ci sarebbe stata la “santificazione” dei “barbudos”.

Con il senno di poi, a distanza di 65 anni da quel 1959 in cui Batista abbandonò Cuba, lasciando il potere a Castro, non so se il bilancio per i cubani sia positivo.

Non lo dico io, ma l’Ansa e tutte le Agenzie internazionali, ma Cuba è sempre più un Paese alla canna del gas, e tanto per capirci, in questi giorni sui social è diventato virale il video di una donna che, anche di fronte al rischio di possibili ritorsioni, affronta un gruppo di agenti davanti alla stazione di polizia di El Cobre, a Santiago de Cuba, gridando: “Abbiamo fame”.

In quel “abbiamo fame” credo ci sia il sunto di un esperimento politico fallito.

Spostandoci dall’altra parte del mondo, nel senso vero del termine,  andiamo in un altro Paese che, suo malgrado, si è trovato per anni al centro dell’attenzione del mondo; il Vietnam.

In questo caso una delle tante  guerre di liberazione coloniale, combattuta dai vietnamiti contro i francesi dal 1946 al 1954, praticamente senza soluzione si continuità  si evolse in un conflitto di “contenimento dell’espansione comunista” combattuto fra gli Stati Uniti ed il Vietnam del Sud contro il Vietnam del Nord (ricordo che l’Indocina francese, sulla base degli Accordi di Ginevra del 1954, fu suddivisa in quattro nuovi stati indipendenti: Vietnam del Nord, Vietnam del Sud, Cambogia e Laos).

La guerra del Vietnam, peraltro mai dichiarata ufficialmente come su usava allora (ma constato che è una prassi adottata anche da Putin in Ucraina) durò vent’anni, anche se gli eventi bellici veri e propri si svolsero per un decennio, fino al 1975, anno della caduta di Saigon.

Fu probabilmente una delle prime “guerre” documentate giornalmente sui media, e sulla stessa vennero girati film storici quali: Berretti Verdi, Nato il quattro luglio, Platoon, Il Cacciatore, Full Metal Jacket, e Apocalypse Now, tanto per citarne alcuni.  

Fu una guerra che coinvolse emotivamente tutte le opinioni pubbliche, ma fu devastante soprattutto negli Stati Uniti.

Io ricordo bene le imponenti manifestazioni di protesta, ed i moltissimi giovani americani che iniziarono ad opporsi alla leva. 

Movimenti “contro” si diffusero  in tutto il Paese, ed   i più contrari alla guerra erano gli studenti. Nel 1970 quattro giovani manifestanti pacifici, studenti della Kent State University in Ohio, vennero uccisi dalla Guardia Nazionale dell’Ohio, in quello che venne ricordato come il massacro della Kent State. 

I pacifisti arrivarono fino a Washington, mentre artisti come Bob Dylan componevano la colonna sonora di quelle proteste, che avrebbero influenzato i giovani di tutto il mondo.

Sul piano politico la guerra del Vietnam isolò gli Stati Uniti , anche perché in tutto il mondo (ed in particolare in Europa) si guardava con un certo favore ai successi dei Vietcong: in quanto erano  la dimostrazione che la superpotenza americana poteva essere messa in difficoltà da un’armata popolare. 

Mentre la sinistra occidentale si schierava in modo pressoché uniforme con il popolo vietnamita, gli Stati Uniti erano sempre  più soli ed  isolati nel loro sforzo bellico.

Sicuramente i più giovani non la ricorderanno, ma c’è una foto che si disse accelerò la fine della guerra; era uno scatto di Nick Ut, fotografo di Associated Press allora ventunenne, che ritraeva una bambina completamente nuda, con  le braccia larghe e la bocca spalancata in un urlo.

Per me è rimasta l’immagine più simbolica e rappresentativa di quella “guerra sporca”, alla quale aggiungo anche quella che ritrae un elicottero (al di là di quello che si scrisse non fu l’ultimo) che carica passeggeri in coda dal tetto dell’ambasciata Usa a Saigon.

Non è la guerra del Vietnam l’oggetto di questo mio pezzo, ma mi sono attardato nei ricordi storici perché vi confesso che mai e poi avrei pensato di vedere nel corso della mia vita un Presidente Americano in visita ad Hanoi dichiarare “Il Vietnam è un amico, un partner affidabile e un membro responsabile della comunità internazionale.  Ritengo abbiamo enormi opportunità, Vietnam e Stati Uniti sono partner importanti”.

Sono parole di Jo Biden del settembre 2023.

Vi ho sempre detto che la politica è una brutta bestia, in cui i rancori e le vecchie ruggini prima o poi bisogna metterli da parte, in cui i nemici di ieri sono gli amici di oggi, in cui la real politik  è la regola, soprattutto nei rapporti internazionali.

E così il Vietnam  è diventato un Paese che sempre più occupa da protagonista la scena politica del Sud est asiatico.

Va detto che, pur essendo ancora formalmente un paese comunista, il Vietnam si sta dando molto da fare per entrare nella schiera dei Paesi economicamente liberi, e nessun altro Paese di dimensioni paragonabili ha registrato guadagni così consistenti nell’Indice di libertà economica negli ultimi decenni.

Tanto per essere chiari,  la Banca Mondiale ha scritto che: «Il Vietnam è stato una storia di successo nello sviluppo economico. Le riforme economiche avviate nel 1986 con il Đổi Mới (Rinnovamento), insieme alle tendenze globali positive, hanno contribuito a far passare il Vietnam da una delle nazioni più povere del mondo a un’economia a medio reddito in una sola generazione. Tra il 2002 e il 2022, il Prodotto interno lordo pro capite è aumentato di 3,6 volte, raggiungendo quasi tremilasettecento dollari.  Il tasso di povertà (3,65 dollari al giorno, 2017 PPA) è sceso dal quattordici per cento del 2010 al 3,8 del 2020»

Il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) prevede che il prodotto interno lordo del Vietnam aumenterà del 5,8 per cento nel 2024, collocandosi al secondo posto nella Regione.

Oltre tutto la crescita del Vietnam non ruota più solo intorno all’agricoltura, ma si è posizionata in settori ad alta tecnologia, tra cui l’Industria 4.0, i chip semiconduttori, l’IA e l’idrogeno, e sta attirando capitali internazionali, grazie anche all’impegno ad aprire il proprio mercato, e ad aumentare la certezza del diritto per gli investitori nei suoi accordi di libero scambio e di protezione degli investimenti.

Certo non tutto è perfetto; e così la percentuale di imprese statali in Vietnam rimane ancora troppo alta, e sarebbero necessarie ulteriori privatizzazioni. 

Ma io credo che tutto questo sia possibile perché, dopo le ubriacature ideologiche della lotta di liberazione, è prevalsa la politica, ed i leader vietnamiti hanno finora dimostrato di saperci fare; sfruttando a proprio favore le rivalità incrociate di Cina, Russia e Stati Uniti, approfittando della propria posizione geografica, e puntando su un’economia in crescita.

Questi gli ingredienti del cosiddetto “miracolo Vietnam”, di cui, se siete interessati, continueremo a ragionare nel prossimo pezzo. 


Pubblicato da Massimo Masi

Blog di Massimo Masi. Bolognese di nascita, piantato nella pianura, con una forte propaggine verso il mare. Non sono più quello di ieri, non so come sarò domani. Ma posso dirti come sono oggi, con i miei ieri (Alda Merini)