Ho scritto più volte della crisi che soffre il sindacalismo confederale. Ormai le spaccature al vertice di CGIL, CISL e UIl non fanno nemmeno più notizia.
L’ultimo articolo che ho dedicato a questa grave situazione, l’ho scritto il 16 marzo con il titolo Morti sul lavoro: ennesima spaccatura fra CGIL – UIL che proclamano uno sciopero generale e CISL che apprezza l’operato del Governo dove riportavo che nemmeno sui morti sul lavoro si trovava – ahimè – un’unità d’intenti tra le Confederazioni.
In questi giorni è uscito sul Diario del Lavoro un articolo del direttore Massimo Mascini (nella foto) che ritengo estremamente interessante, intelligente e che offre spazi di discussione.
Intanto qualche informazione su Massimo Mascini che – oltre ad essere direttore responsabile del quotidiano online Il diario del lavoro – cura l´Annuario del lavoro, giunto alla quinta edizione, è membro del Comitato scientifico della Scuola di relazioni industriali di Telecom. Ha scritto una dozzina di libri di storia delle relazioni industriali e di economia reale, editi tra gli altri da Il Mulino, Il sole 24 Ore, Franco Angeli.
Insomma uno che di relazioni sindacali e di sindacato se ne intende moltissimo.
In questo editoriale Mascini si dice preoccupato perchè che la mancanza di unitarietà fra il sindacato non sembra interessi più a nessuno e siamo perfino arrivati alle offese tra i leaders sindacali. Qualche esempio: “Maurizio Landini dice che il leader della Cisl è stato colto da un colpo di fulmine per la maggioranza di governo, Luigi Sbarra afferma che il suo collega della Cgil ha preso un colpo di sole e, quindi, par di intuire, non capisce cosa stia accadendo“.
Mascini poi, si stupisce – a ragione – “che le due maggiori confederazioni, Cgil e Cisl, abbiano varato importanti iniziative senza sentire il bisogno di avere accanto a sé l’altra confederazione. La Cisl ha messo in campo l’iniziativa della legge popolare per la partecipazione, e lo ha fatto in piena autonomia dal resto del sindacato, lo stesso sembra stia facendo la Cgil, con l’ondata referendaria voluta da Landini. Iniziative corpose, in grado di dare una precisa connotazione alla loro segreteria, eppure sia Sbarra che Landini si sono mossi con determinazione, senza cercare compagni di strada nelle altre organizzazioni“.
Dobbiamo prendere atto di questa situazione.
E non è un caso che questa UIL sia fuori da questi giochi, mentre la UIL – quella di Giorgio Benvenuto, ad esempio – era attenta all’unitarietà sindacale ed ai problemi sociali delle lavoratrici e dei lavoratori. Ho scritto più volte che questa “nuova gestione della UIL” sembra sia più interessata a rafforzare il potere interno tramite commissariamenti di strutture, avvicendamenti improvvise nelle leadership, cambi repentini di posizioni, come un “piccolo risiko“, piuttosto che fare da cerniera fra le due grandi Confederazioni. Sì, alcune battaglia sono state condotte ma sono sembrate più operazioni demagogiche che di reale posizionamento politico. Una domanda sorge spontanea. Sbaglio o anche la UIL – da sempre – si era dichiarata a favore della partecipazione dei lavoratori alla vita delle aziende?
Tornando al problema generale, Mascini lancia un’importante considerazione: “le persone che contano, i leader e i loro principali collaboratori, appaiono distratti, poco attenti al pericolo che il sindacato nel suo insieme sta correndo“.
Questo aspetto l’ho sottolineato più volte. Landini, Sbarra, Bombardieri sembrano più guardare al proprio ombelico piuttosto che alla questione generale.
Una nota positiva .- in tutta questa negatività e pericolosità – Mascini la trova.
Questo fenomeno disgregativo – per fortuna – “non sembra toccare le federazioni di categoria, che continuano ad avere contatti continui. Sarebbe strano il contrario, tenendo conto che stanno per partire le vertenze dei rinnovi contrattuali e senza unità non sarebbe facile cogliere il risultato pieno. Per il momento le piattaforme rivendicative dei diversi settori sono state messe a punto assieme e assieme sono state avviate le prime contrattazioni“.
Il problema è fino a quando durerà questa pax fra le categorie e sempre Mascini se lo chiede se le divisioni confederali non avranno ripercussioni direttamente o indirettamente sulle vertenze in atto.
Conclude il suo articolo affermando che : “il pericolo è che le diversità di opinioni crescano e portino a modelli di società, di economia, di sindacato distanti tra loro. Un segnale negativo è venuto nel momento in cui Cgil, Cisl e Uil non sono state in grado di trovare un accordo per commemorare gli 80 anni dalla morte di Bruno Buozzi, vero padre del Patto di Roma del 1943, che quel patto non poté firmare perché ucciso dalla violenza nazifascista, ma che era la persona che più si era battuta per la rinascita del sindacato unitario. Se crescono le divisioni e si arriva a mondi lontani tra loro, se cresce lo sfilacciamento, se le ideologie divergono, potrebbe essere imboccata una via di non ritorno. Pericolosa per tutti“.
Queste sono le sagge parole di Massimo Mascini.
C’è da augurarsi che ci sia un nuovo “patto” fra le confederazioni sindacali. Anche se – obiettivamente – le distanze politiche si fanno più forti con una CISL sempre più vicina al Governo Meloni – soprattutto a Forza Italia, in quanto è circolata anche la voce di una possibile candidatura di Sbarra nel partito che fu di Berlusconi.
Ho l’impressione – e il contratto dei bancari è la cartina di tornasole – che si vada rapidamente ad “un sindacato corporazione“, cioè un sindacato di categoria, fortissimo e onnipresente, dominato e “comandato” a volte da un sindacato autonomo, a volte da qualche sigla confederale, perdendo così la caratteristica di un sindacato che possa dire la sua sulla politica economica del governo e sulle necessità generali delle lavoratrici e dei lavoratori. E l’indirizzo politico di questo governo di destra, sembra vada proprio in questa direzione.
Spero di sbagliarmi.
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