Ringrazio innanzitutto l’amico Patrizio Ferrari che mi ha segnalato un’importante intervista di Patrizia Ordasso – responsabile Affari Sindacali IntesaSanpaolo – apparsa sul Diario del Lavoro
Ho sempre sostenuto che la difesa dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori sia un compito bipartisan e che le relazioni sindacali siano l’asse portante di un modo di rapportarsi con il mondo lavorativo.
Anche se – e oggi mi voglio occupare di questo – la difesa dei propri associati e degli interessi aziendali è un elemento caratterizzante del dibattito e del confronto.
Inizio con Lando Maria Sileoni.
Forse ai più è sfuggita un affermazione fatta dal leader della Fabi durante una trasmissione televisiva – mi sembra “Mi manda Rai 3” nella quale – riporto le agenzie di stampa – ha dichiarato: ”Mandare giornalisti con telecamere nascoste nelle agenzie bancarie, per far vedere il momento in cui un cliente si sente dire ‘no’, quindi, corre il rischio di far passare un messaggio sbagliato. Le telecamere nascoste andrebbero messe nei consigli di amministrazione dei gruppi bancari e delle banche, se volete vi ci porto io, perché è lì che si prendono le decisioni, che poi chi lavora in banca si limita a recepire e attuare”.
Questa frase che potrebbe sembrare pleonastica, deve essere inserita in un contesto che vede – a causa dell’aumento dei tassi da parte della BCE – la “caccia” di qualche trasmissione televisiva al colpevole in caso di rifiuto o non accoglimento di prestiti o mutui da parte della clientela.
Bene ha fatto Sileoni a ricordare che solo per prestiti di poco conto, i responsabili o gli addetti possono deliberare in autonomia, mentre per cifre importanti – come i mutui – occorre il benestare della Direzione o degli organismi preposti all’erogazione del credito.
E’ evidente che la lavoratrice o il lavoratore allo sportello rappresenta l’interfaccia della banca con il cliente, ma le responsabilità non sono le stesse fra dipendente e manager aziendale.
Bene ha fatto – provocatoriamente – Sileoni ad invitare “i cronisti d’assalto” come si diceva ai miei tempi ad andare al focus del problema, alle vere responsabilità e non soffermarsi su quelli che sono costretti ad applicare direttive prese da altri e piazzare le telecamere nelle riunioni dei Consigli d’Amministrazione delle Banche.
Siamo alle solite.
Ci incazziamo con le telefoniste dei call center ma non lo facciamo con le aziende che ordinano quel tipo di lavoro. Perchè prendersela con l’anello finale è più facile e meno compromettente.
Veniamo ora all’intervista della dottoressa Patrizia Ordasso – responsabile Affari Sindacali di IntesaSanpaolo – rilascata al Diario del Lavoro. L’intervista globale la potete trovare a questo link (si può ancora dire link o usiamo collegamento o ancoraggio?) https://www.ildiariodellavoro.it/intesa-san-paolo-ordasso-sul-lavoro-flessibile-siamo-allavanguardia/
In pratica Patrizia – l’ho sempre chiamata così e vorrei continuare – difende pedissequamente tutte le scelte effettuate da IntesaSanpaolo sia sullo smart working che sulla riduzione d’orario.
Nell’intervista non nasconde che IntesaSanpaolo ha forzato l’accordo nazionale sul massimo dei dieci giorni mensili, portandolo a 120 giorni, ma tutto questo viene fatto in nome della flessibilità del lavoro che l’azienda richiede per raggiungere i suoi target (per Fratelli d’Italia, obiettivi).
Anche sulla riduzione dell’orario di lavoro, Patrizia difende strenuamente le scelte aziendali partendo dalla considerazione che “Nel contratto nazionale la settimana corta da 36 ore su 4 giorni esiste dal 1999. Di fatto non è mai stata utilizzata, se non in casi rarissimi. Sulla base del contratto, possiamo disporre l’orario di lavoro su 4 giorni per 9 ore giornaliere o su 6 giorni per 6 ore, riducendo di un’ora e mezza l’orario lavorativo settimanale che è di 37 ore e mezzo“.
E anche sull’aspetto più conflittuale con le Organizzazioni sindacali sia sulla volontarietà che sull’applicazione a tutti i dipendenti siano essi della Direzione Centrale che delle filiali, Patrizia non ha dubbi sulla giusta scelta aziendale: “Abbiamo introdotto il tema della volontarietà organizzativa, a patto che sia compatibile con le esigenze tecnico-organizzative e produttive della Banca. L’azienda cerca di contemperare la volontarietà dei colleghi di utilizzare queste misure, migliorative rispetto al quadro normativo vigente, con i profili organizzativi specifici della Banca, nonché con la gestione delle filiali e delle attività rivolte alla clientela, un aspetto organizzativamente molto più complesso rispetto alle strutture di governance. L’azienda non fa differenze tra colleghi, ma le attività svolte possono essere diverse e, come già successo durante la pandemia, richiedere una diversa organizzazione.” E aggiunge che: “Il collega esprime la sua preferenza alla settimana corta, il gestore del personale e il responsabile valutano in base alle attività che svolge se è compatibile o meno; dopo l’autorizzazione, la programmazione deve tenere comunque conto della compatibilità complessiva. Ad esempio, non è possibile che tutti i colleghi contemporaneamente chiedano lo stesso giorno di riposo, perché bisogna garantire una continuità di servizio“.
Come si può evincere da questa intervista che ha la caratteristica di essere molto precisa ed incisiva, emergono chiaramente le differenze tra Azienda e Sindacati che hanno portato alla non firma degli accordi da parte di quest’ultimi e probabilmente ha convinto IntesaSanpaolo a ritirare la delega alle trattativa nazionali al CASL di ABI.
Perchè ho voluto mettere assieme queste due interviste?
Perchè danno il senso del dibattito su alcune questioni che ritengo – da sempre prioritarie – e cioè i diritti e i doveri delle lavoratrici e dei lavoratori che devono, però, corrispondere ad uguali diritti e doveri da parte aziendale. Il difficile è trovare – ma nel settore bancario lo si è sempre fatto – un punto di equilibrio fra i due interessi.
Ecco perchè – come ho scritto più volte – forse il sindacato doveva essere più attento alle proposte aziendali e l’azienda più disponibile. Gli accordi si fanno sempre in due.
Per concludere. Sia Sileoni che Ordasso difendono il loro operato. In un mondo dove è più facile colpevolizzare gli altri, è un bel vedere o un bel leggere.
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