Furono anche le donne iraniane a volere il regime degli Ayatollah

Donne iraniane, oggi. Foto tratta dal web

di Umberto Baldo e su linkedin www.linkedin.com/in/umberto-baldo-b9893174

E’ vero che la storia talvolta dà l’impressione di non avere uno sviluppo lineare, e di presentare spesso degli “stop and go”, se non dei veri e propri arretramenti.
In realtà non è così, ma lo scorrere degli eventi talvolta ci insegna di non dare mai per scontate certe conquiste, perché c’è sempre qualcuno che vuole riportare indietro l’orologio della storia.
Ho fatto questa breve premessa perché oggi vi parlo nuovamente della Repubblica Islamica dell’Iran e della sistematica negazione e repressione dei diritti delle donne da parte della casta religiosa che la governa.
Il simbolo della “sottomissione” femminile è diventato sicuramente lo hijab, che le donne devono obbligatoriamente portare, pena il carcere e financo la morte.
Ma è sempre stato così?


Per rispondere a questa domanda bisogna andare indietro nel tempo, fino ai primi decenni del secolo scorso, e precisamente nel 1921 quando l’ufficiale dell’esercito iraniano Reza Khan (nella foto) attuò un colpo di Stato contro il sovrano Ahmad Qajar, diventando così nel 1925 il nuovo Scià di Persia (la denominazione di Iran, che vuol dire Paese degli Ariani, venne adottata nel 1935).

Erano anni piuttosto movimentati nel mondo musulmano,  dopo il disfacimento dell’Impero Ottomano, e l’imporsi in Turchia del movimento dei Giovani Turchi di Mustafà Kemal Ataturk (nella foto).
Ispirandosi all’azione riformatrice di Ataturk che, puntando al massimo sulla laicizzazione della società e delle Istituzioni, cambiò la faccia allo Stato, tanto da essere definito “il padre delle moderna Turchia”, anche Reza Khan intraprese un’ambiziosa opera di modernizzazione dell’Iran. 
Quest’azione fu poi proseguita dal figlio Mohammad Reza Pahlavi, e nell’ambito del suo tentativo di “occidentalizzare” forzatamente e velocemente il Paese, la condizione delle donne migliorò notevolmente.
E così nel 1963, dopo secoli di oppressione  della sharia islamica, alle donne venne riconosciuto il diritto di voto attivo e passivo, tanto che nel 1968 Farrokhroo Parsa (nella foto) divenne la prima donna ministro nella storia dell’Iran (fino al 2 gennaio 1971). La Parsa fu giustiziata a 58 anni l’8 marzo 1980 (provate a indovinare da chi!).

Nel 1973 l’età legale per contrarre matrimonio venne innalzata a 18 anni per le donne (dai 15 anni stabiliti nel 1931). 
Nel 1977, due anni prima della Rivoluzione islamica , venne persino regolamentato l’aborto su richiesta con una legge, che venne in seguito abrogata (nel 1979 eh)
Alle donne vennero inoltre aperte le porte di tutte le scuole, Università comprese.
Ma la novità più importante a mio avviso, almeno dal punto di vista simbolico, fu introdotta dallo Scià nel 1936 quando, sempre sulle orme di Ataturk, impose lo “svelamento” delle donne, cioè il divieto di indossare lo hijab o altro velo islamico in pubblico.
Non so se sono stato chiaro.
Durante gli anni di regno dello Scià le donne iraniane hanno vissuto sicuramente il periodo in cui hanno goduto della maggiore libertà della storia del Paese; erano libere di studiare, di viaggiare, di sposarsi in età non infantile, e, come accennato, di non indossare veli od orpelli di natura religiosa. 
Ma lo Scià non era sicuramente un democratico, anche perché suo malgrado si trovò nel mezzo della guerra per il controllo del petrolio (vedi Mossadeq e nazionalizzazione dei pozzi iraniani) con pesanti ingerenze occidentali, tanto che, dopo aver estromesso Mossadeq con un colpo di stato, il suo regime divenne sempre più repressivo nei confronti di qualunque oppositore.
Ma sicuramente commise due gravi errori di valutazione, che sicuramente hanno aiutato la vittoria della rivoluzione islamica.
Il primo, sembra addirittura una farsa dirlo, fu proprio l’aver imposto il divieto assoluto di utilizzo del velo, senza prestare ascolto ed importanza alla voce delle donne più anziane, che desideravano davvero indossare il chador o lo hijab.

Di fatto la politica dello Scià discriminò, soprattutto nell’accesso alle cariche pubbliche, le donne che portavano il velo. Così “portare il velo” divenne progressivamente, soprattutto negli anni ’70, il simbolo non solo della resistenza conservatrice all’occidentalizzazione forzata, promossa dallo Scià, ma anche della protesta delle donne istruite della classe media contro l’autoritarismo crescente, sempre più dispotico e violento, di Reza Phalavi (nella foto). 
Il secondo errore, altrettanto grave, quello di aver sottovalutato l’influenza del clero nella società iraniana,  clero che influenzò pesantemente il sentiment dei cittadini-fedeli in direzione anti-occidentale. 
In una sorta di nemesi storica, questi due fattori portarono ad una conseguenza che vista con gli occhi di oggi sembra addirittura kafkiana.
Infatti è importante ricordare che furono anche le donne, colte ed istruite, che indossando lo hijab come sfida al regime imperiale, nel 1979 ebbero un ruolo fondamentale nello scoppio della rivoluzione che portò alla caduta ed alla fuga dello Scià, non rendendosi conto che quella libertà che avevano chiesto scendendo in piazza velate dopo pochi giorni l’avrebbero persa per sempre proprio per mano degli invocati Ayatollah. 
Infatti la repressione della dittatura teocratica contro le donne è iniziata  subito dopo l’arrivo al potere di Khomeyni; e guarda caso già la mattina dell’8 marzo 1979 a migliaia di donne iraniane che volevano andare al lavoro venne impedito l’ingresso negli uffici e  nelle fabbriche; i guardiani della rivoluzione islamica avevano chiesto a tutte loro di tornare a casa, mettersi in testa lo hijab e tornare al lavoro.
Tutto il resto venne di conseguenza e rappresenta la condizione della donne in Iran:, che non godono di pieni diritti civili: legalmente il loro voto vale la metà, non hanno passaporto né il diritto di viaggiare senza il consenso di un tutore maschile (padre, fratello o marito), hanno diritto alla metà dell’eredità rispetto agli uomini, e gli uomini hanno il diritto di punirle. La lapidazione per presunto adulterio (della donna) è legge di Dio e lo stesso vale anche per l’omosessualità.
Cosa accadrà, quale sarà il futuro del regime iraniano, dipende da tanti fattori, non ultima la sfida che gli Ayatollah sciiti hanno in corso da sempre con Israele ed i regimi arabi sunniti.
Ma se pensiamo che il velo sia il fattore più importante credo  commettiamo un grave errore.
Lo hijab è solo un simbolo, importante sicuramente, ma solo un simbolo!
E quindi il problema non è certo una questione di esegesi biblica o coranica.
C’è ben altro in ballo!  E come sempre parliamo di soldi e di potere!
In più di quarant’anni di regime teocratico si sono costituiti e radicati nella società iraniana poteri economici enormi del Clero, dell’Esercito e dei Pasdaran, fondati sul petrolio, sulle banche, sull’economia di Stato
La reazione omicidiaria del regime è violenta, perché le giovani generazioni e dietro di loro settori sociali impoveriti, per esempio quelli dei bazar, stanno facendo saltare la base di consenso al potere teocratico-economico, che proveniva dai settori tradizionali e dai nuovi ceti “borghesi” beneficiari della ricchezza. 
La verità, a mio avviso, è che buona parte degli iraniani, sicuramente la maggioranza dei giovani, ha capito che la difesa di Dio è in realtà la difesa di privilegi e di iniquità sociali, e questo è e sarà il vero terreno di scontro fra il popolo e gli Ayatollah.
In questa situazione è arrivato il vento fresco delle giovani donne iraniane, che chiedono semplicemente di poter decidere della propria vita, delle proprie relazioni, dei propri vestiti, del proprio futuro.
Resta quella nemesi, di cui vi ho parlato, per cui le ragazze di oggi per certi versi sono vittime di un errore di valutazione delle loro nonne, che non capirono che  lo Scià, per le donne, era sicuramente meglio di Khomeyni.


Pubblicato da Massimo Masi

Blog di Massimo Masi. Bolognese di nascita, piantato nella pianura, con una forte propaggine verso il mare. Non sono più quello di ieri, non so come sarò domani. Ma posso dirti come sono oggi, con i miei ieri (Alda Merini)

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