La guerra dell’acqua: si spara lungo le sponde del fiume Helmand

di Umberto Baldo

I recenti mesi di siccità, ora almeno momentaneamente superata, però al prezzo del disastro in Romagna e di altri “danni collaterali” in altre parti d’Italia, mi ha indotto a riflettere sul fatto che da decenni esperti ed Organizzazioni internazionali ci mettono in guardia dicendoci che molte delle guerre del futuro avranno come oggetto una sola cosa: il controllo dell’acqua. 

In realtà si tratta di un problema sorto fin dalle prime civiltà umane, tanto che  il primo conflitto viene datato 2500 a. C. e avrebbe avuto luogo nella zona dell’attuale Iraq. 

In quel caso l’acqua venne utilizzata per combattere i Sumeri da Urlama, re dell’antica città stato di Lagash, che fece deviare dei corsi d’acqua per lasciare a secco la città di Unma.

Si può essere più o meno scettici sul fattore “cambiamento climatico”, ma per quanto mi riguarda, e penso valga anche per tutti quelli che hanno una certa età, posso dire che l’andamento anomalo delle stagioni, le temperature sempre più alte, gli inverni di tipo “autunnale”, i fiumi ed i laghi in secca, rappresentano ormai la normalità. 

Ma quel che più colpisce è la velocità con cui si concretizzano questi cambiamenti, che sono ormai percepibili nel corso di pochi anni, e non più come avveniva un tempo nel corso di generazioni.

Ma tornando al tema iniziale, giova ricordare le parole dell’ex Vicepresidente della Banca mondiale Ismail Serageldin, che nel 1995 ebbe a dire:  “Se le guerre del 20° secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del 21° avranno come oggetto l’acqua”.

Parole profetiche, oserei dire!

Anche se non sempre assurgono agli onori della cronaca, come ad esempio quella fra Egitto, Etiopia  e Sudan per il Nilo,  “guerre per l’acqua” sono in corso da lungo tempo in ogni parte del pianeta, e vedono confrontarsi ad esempio Usa e Messico, e Cina ed India, solo per fare due esempi.

E diventa paradigmatico il fatto che all’inizio del conflitto, tra le prime azioni criminali dell’esercito russo ci sia stata la distruzione di una diga in Ucraina che bloccava l’acqua da un canale di epoca sovietica che sfocia in Crimea, la penisola che la Russia ha strappato al suo vicino nel 2014. Gli ucraini avevano eretto quella la diga come rappresaglia per la perdita di quel territorio avvenuta quasi otto anni prima.

Come accennavo, scontri legati all’acqua sono in atto in tutto il pianeta, ed oggi voglio soffermarmi su un conflitto  pressoché sconosciuto ai più,  che oppone l’Afghanistan all’Iran, due Paesi divisi da un confine lungo oltre 900 chilometri. 

Oggetto del contendere è un fiume il cui nome confesso mi era finora del tutto sconosciuto, il fiume Helmand.

Alzi la mano chi lo aveva sentito nominare fino ad oggi!

Non si tratta di un fiumiciattolo, bensì del fiume più lungo di tutto l’Afghanistan (1.150 km), che nasce nella regione dell Hazarajat, dalle cime del Koh-e Bābā, all’estremità occidentale dell’ Hindu Kush, 80 km ad ovest di Kabul, passando a nord del Passo Unai . Scorre in direzione sud-ovest attraverso il deserto Dasht-e Margoh verso le paludi del Sistan e la regione dei laghi attorno a Zabo, lungo il confine  iraniano-afgano.

Ebbene il fiume Helmand è al momento uno dei principali motivi di scontro fra i due Stati islamici.

Perché?

Come in tutti i conflitti del genere esistono cause immediate e ragioni più profonde.

La causa immediata (il casus belli si potrebbe definire) è ovviamente l’acqua, in quanto Teheran accusa Kabul di aver violato un accordo del 1973 che regola il flusso del fiume Helmand

In altre parole secondo l’Iran i taliban afghani starebbero costruendo nuove dighe per centrali idroelettriche lungo il corso del fiume, e ciò finirebbe per  influire sulla portata a valle, in Iran, in una regione che già subisce gli effetti di una cronica siccità.

L’Afghanistan ovviamente nega questa correlazione dighe-portata del fiume (sic!), e parla di motivazioni legate al clima.

Ma queste motivazioni non convincono di certi gli iraniani, e come sempre finisce in questi casi, entrambi gli Stati hanno inviato rinforzi militari verso quella frontiera di 900 chilometri che li divide.

Al momento la tensione è sfociata in qualche schioppettata, in qualche scaramuccia, sia pure con diverse vittime.

Ma penso non si possa neppure immaginare che tutto possa finire “a tarallucci e vino”, e credo che in realtà incomba all’orizzonte un potenziale conflitto fra Iran ed Afghanistan, due Paesi le cui relazioni sono da tempo piuttosto difficili, anche per ragioni diverse da quelle del controllo dell’acqua.

L’escalation delle tensioni si inserisce infatti nella complessità religiosa ed umana della regione.

L’Afghanistan e l’Iran sono entrambi regimi islamici, ma la rivoluzione iraniana poggia sulla maggioranza sciita del paese, mentre i taliban, che hanno riconquistato il controllo di Kabul, sono sunniti e in maggioranza di etnia pashtun.

Noi occidentali forse non riusciamo a percepire fino in fondo la differenza fra le due secolari visioni diverse dell’Islam, rappresentata da sciiti e sunniti, ma se pensate che lo sciismo (15% circa dei musulmani) è considerato un’eresia dall’Islam ortodosso sunnita (85% circa degli islamici)  capite bene che le ragioni di confronto acceso ci sono tutte. 

Certo la differenza religiosa non spiega tutto, ma da giorni  video di propaganda dei Taliban si scagliano contro il regime iraniano, definendo gli Ayatollah “infedeli” e minacciando di prendere d’assalto Teheran. 

Parimenti in passato i Taliban sono stati regolarmente accusati da Teheran di aggredire le minoranze in Afghanistan, in particolare la popolazione hazara che è in maggioranza sciita. 

Ma date queste premesse, perché non si sta sparando alla grande al confine iraniano-afgano?

Perché non sta prevalendo la retorica guerrafondaia per il controllo delle acque del fiume Helmand?

Semplicemente per questioni di politica interna.

Entrambi gli Stati sono alle prese con gravi problematiche al proprio interno: i Talebani afgani non hanno ancora ottenuto il riconoscimento dalla comunità internazionale, e devono trovare il modo di governare un Paese economicamente allo stremo.   

Gli Ayatollah sono sottoposti da anni a durissime sanzioni internazionali, e devono cercare di contenere le proteste generate dal “movimento delle donne”, che il regime finora non sembra essere in grado di soffocare nonostante torture, impiccagioni, sparizioni, ed ogni sorta di nefandezze commesse ai danni della popolazione.

Aprire un fronte bellico con il vicino potrebbe rivelarsi un azzardo anche per queste autocrazie religiose. 

Quindi è probabile che il confine fra i due Stati continuerà a restare caldo, fra una scaramuccia e l’altra, a testimonianza, come dicevo all’inizio, che il problema dell’acqua sarà sempre più il problema degli anni a venire.

Per noi resta la “scoperta” di un fiume di cui nessuno a scuola ci aveva mai parlato.

Umberto Baldo


Pubblicato da Massimo Masi

Blog di Massimo Masi. Bolognese di nascita, piantato nella pianura, con una forte propaggine verso il mare. Non sono più quello di ieri, non so come sarò domani. Ma posso dirti come sono oggi, con i miei ieri (Alda Merini)