In un Paese in cui si sottraggono allo Stato (ed ai contribuenti onesti)100 miliardi l’anno, ci tocca vedere il garante per la Privacy opporsi a quello che in gergo tecnico si chiama “data scraping”, cioè l’analisi della “vita social” di un contribuente per verificare se corrisponde, o meno, a quanto dallo stesso dichiarato al Fisco.<
E ci riferiamo non a dati “segreti” bensì ad informazioni “pubblicamente disponibili”, cioè quelle caricate su internet e sui social dai diretti interessati, come ad esempio foto di luoghi di vacanza o di ristoranti stellati, di barche, di viaggi di auto di lusso; ed in generale di tutti quelli indizi che potrebbero consentire all’Agenzia delle Entrate di determinare il “tenore di vita”, e qualora ne ricorrano gli estremi, l’eventuale infedeltà fiscale.
Non so dove viva il Garante!
Mi auguro non nel Paese dei balocchi, dove tutti sono felici di pagare le tasse; e quindi non disturbiamoli se sono in barca alle Maldive o a sciare a Saint Moritz, e postano sui social le loro scorribande alla faccia nostra.
Ma l’assurdo è che parliamo dei dati che i gestori dei Social Media acquisiscono quando apriamo un account, mantengono nei loro archivi senza alcun controllo di qualsivoglia Garante, e li elaborano come piace a loro.
Ne deduco che certe informazioni “private” Google, Meta, X, Tik Tok, possono detenerle ed utilizzarle senza limiti o problemi, visto che poi gli algoritmi sono sempre gli stessi, mentre l’Amministrazione Fiscale NO.
Viva l’Italia dei deficienti
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