Riduzione orario di lavoro a parità di stipendio: se n’è parlato al Congresso UIL. E’ fattibile?

Congresso UIL – foto tratta dal web

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Ho scritto più volte sul mio blog una frase che il mio predecessore alla carica di Segretario Generale della Uilca e mio mentore – Elio Porino – soleva dire: nella vita sindacale – come in quella personale – ci vuole culo!
E di fortuna – almeno dal punto di vista mediatico – il congresso della Uil non ne ha avuta molta, stritolata tra la crisi di governo, l’elezioni dei presidenti di Camera e Senato, la lite tra Berlusconi e Meloni, la guerra in Ucraina.
Per fortuna – della Uil – oggi viviamo nell’epoca dei social e quindi molte notizie e foto le ho tratte proprio dalle piattaforme.
Ho stralciato le proposte principali che sono emerse dalla relazione e cioè: “taglio strutturale del cuneo fiscale, eliminando i bonus” ed è stato chiesto di “perfezionare la tassa sugli extraprofitti“- perché a detta del leader della UIL – è inaccettabile che sia stato incassato solo un miliardo su 10 e vogliamo che sia allargata alle grandi aziende farmaceutiche e alle banche“.

Enrico Marro – giornalista Corriere della Sera – foto tratta dal web

Dalla lettura dei giornali – il Corriere della Sera in particolare, seguito dal Fatto Quotidiano – è emersa come preponderante la proposta di ridurre l’orario di lavoro a parità di trattamento economico: “E, tra le tante
proposte contenute nella relazione con la quale Pierpaolo Bombardieri ha aperto il i8° congresso della Uil, quella che farà più discutere
– afferma Enrico Marro, giornalista del Corriere della Sera in un articolo apparso domenica. “Il taglio dell’orario serve, secondo il segretario generale, per rispondere alla transizione
energetica e alla rivoluzione digitale che stanno rivoluzionando l’organizzazione del lavoro. Se poi la riduzione si debba fare lavorando, per esempio, quattro giorni la settimana o tagliando l’orario tutti i giorni sarà la contrattazione a stabilirlo
, continua Di Vico citando la relazione.
Ed è su questa proposta che mi voglio soffermare, analizzando se questa proposta è fattibile.
Voglio subito premettere che sono assolutamente d’accordo con questa proposta – almeno in linea teorica – ed è sempre stata uno dei mantra delle mie letture economiche, al di là degli slogan come “lavorare meno per lavorare tutti“.

Carlo Bonomi – Presidente Confindustria – foto tratta dal web

A questa proposta della Uil, non si è fatta attendere molto la risposta della Confindustria – ed in particolare del suo Presidente Bonomi – che se pur non citandola, ha chiuso tutte le porte dalla flat tax, al superamento della legge Fornero, agli aumenti contrattuali, affermando che il vero problema per l’industria italiana (e per le famiglie italiane, bontà sua) è il prezzo del gas e della luce. Secondo Bonomi il costo delle imprese, dagli 8 miliardi pagati per gas e luce nel 2021 si passerà a 110 miliardi, quindi tutti i soldi devono essere buttati – dal nuovo governo che entrerà in campo presto – sulle aziende in quanto “se chiudono le fabbriche, chiude il paese“.

Effettivamente credo che il vero problema, il vero ostacolo dell’applicazione dell’orario di lavoro a parità di salario sia proprio quello dei costi. In un momento così difficile sarebbe complicato, se non impossibile per molti, applicare tout court questa norma che si andrebbe assommare ai costi che le imprese stanno subendo dalla possibile recessione e dalla crisi energetica.

Dario di Vico – giornalista Corriere della Sera – foto tratta dal web

E’ vero come dice Dario di Vico – sempre nell’articolo sopra richiamato e comparso sull’inserto del Corriere della Sera “L’Economia” – che “La settimana lavorativa di 4 giorni fa bene un po’ a tutti: ai dipendenti perché riduce i costi settimanali di trasferimento casa-lavoro, al pianeta perché limita le emissioni connesse al-trasferimento ed, ovviamente, ai conti aziendali perché ottimizza i costi generali di gestione degli uffici. Probabilmente bisognerà evitare che si creino tensioni tra i segmenti dell’azienda che possono beneficiare della riorganizzazione ed altri più vincolati”.
Ed è a questo punto che voglio collegarmi alla trattativa che è in corso ad Intesa Sanpaolo. Trattativa di cui ho parlato l’11 ottobre nel post A Banca Intesa Sanpaolo si discute della settimana lavorativa su quattro giorni: ci sarà l’accordo con il sindacato? e il 12 ottobre Ancora sulla riduzione delle giornate settimanali lavorative in Intesa Sanpaolo: la lettera di Umberto Baldo.
Trattativa che risulta sospesa – almeno ufficialmente – ma secondo le mie fonti, continuano gli incontri a riflettori spenti. Come sempre accade nelle trattative difficili.

Alfio Filosomi – Intesa Sanpaolo – foto tratta dal web

Ebbene credo che per l’ennesima volta è necessario fare chiarezza su questo tema.
E lo faccio come partecipante in prima persona delle trattative sindacali per il rinnovo del CCNL dei bancari a partire dal 1998. La norma sopra richiamata – quella delle 36 ore – mentre per chi lavora su 5 giorni sono 37,5 – spalmate non più su 5 ma 4 giorni, come vorrebbe applicare Banca Intesa Sanpaolo – originariamente era stata inserita nel contratto come possibilità per le aziende – in determinati uffici o determinate lavorazioni – di applicare un orario diverso da quello standard.
Ebbene la difficoltà – e lo ha espresso bene prima Sileoni e poi tutti gli altri segretari generali della categoria – è quello di trasformare questo articolo in una norma onnicomprensiva per tutto il personale.
Tanto è vero questo mio ragionamento che la banca milanese ha subito individuato solo per gli uffici interni l’applicazione di questa norma. Mentre il sindacato – unitariamente – ha chiesto l’applicazione generalizzata. Sempre negli articoli sopra richiamati – sia io che Umberto Baldo – abbiamo cercato di spiegare le difficoltà di applicazione soprattutto nelle filiali piccole, se si vuole rimanere – e credo che in questo momento sia indispensabile – nell’alveo della rigorosa applicazione del contratto nazionale di lavoro dei bancari.
Quindi è stato giusto richiamare la proposta Intesa Sanpaolo nella relazione al congresso nazionale Uil – così mi dicono è stato fatto e nell’articolo di Di Vico – ma si tratta di aspetti contrattuali diversi, settori produttivi diversi e finalità diverse. Non di meno non dimentichiamo che Intesa Sanpaolo con questo orario risparmierà sullo straordinario, sull’indennità di mensa, ecc.
Comunque è importante che si cominci a parlare di queste nuove flessibilità.
Sempre nell’articolo di Di Vico si accenna alla “qualità della prestazione e aumento della produttività sono principi e obiettivi che possono essere combinati. Del resto se si vogliono far vivere le relazioni industriali come un sotto-sistema vitale delle società complesse, bisogna aggiornare la cultura dello scambio e individuare percorsi win win“. Giusto ragionamento ma credo, però, che tutto debba rientrare nella contrattazione nazionale e aziendale e non lasciata alla politica dell’one to one.
Quindi proposta interessante ma – come abbiamo visto – applicabile solo in certi settori e da mettere in cantiere quando l’economia mondiale comincerà a riprendere il suo percorso.

Fausto Bertinotti – foto tratta dal web

Poichè alla rete non sfugge nulla – domenica sera ho trovato in un post su facebook di Valeria Cantelmo – un articolo di Repubblica datato 07/09/1997 dove l’allora segretario di Rifondazione Comunista Fausto Bertinotti – sulla stregua delle “famose 35 ore francesi“- proponeva di allargare questa esperienza anche nel nostro paese. Anche all’epoca – come oggi Confindustria – con Ignazio Cipolletta sparava a zero contro questa proposta, mentre l’allora Segretario Generale UIL – il compianto Pietro Larizza – affermava: “la settimana di 35 ore può essere un terreno di negoziato, ne hanno parlato anche Bertinotti e Prodi nell’ ultimo incontro. Bisogna verificare se la questione è matura”.
Niente di nuovo sotto il sole. E’ dal 1997 che ne parliamo!!!
Ripeto il problema vero da affrontare – appena la crisi si allenterà – è la politica generale degli orari, che si dovrà coniugare con gli aspetti di una minore mobilità e un minor utilizzo dei mezzi privati e pubblici, con le nuove esigenze lavorative dei giovani, con l’aumento dell’occupazione.
Ricetta difficile e complicata ma non impossibile.

P.S.
un altro mio mentore sindacale – Ugo Fadani – mi diceva spesso che il sindacato può ballare il tango mentre le aziende ballano la mazurca, ma il rischio di pestarsi i piedi è notevole e a volte è meglio fermarsi un giro e aspettare un ballo comune, da fare assieme.

Domani pubblicherò un altro post sul Congresso della UIL dal nome: Il Congresso di Ambra e Giulia


Pubblicato da Massimo Masi

Blog di Massimo Masi. Bolognese di nascita, piantato nella pianura, con una forte propaggine verso il mare. Non sono più quello di ieri, non so come sarò domani. Ma posso dirti come sono oggi, con i miei ieri (Alda Merini)

2 Risposte a “Riduzione orario di lavoro a parità di stipendio: se n’è parlato al Congresso UIL. E’ fattibile?”

  1. Valeria Cantelmo (da Facebook)
    Condivido la tua analisi …Un argomento serio, importante ma che troppo spesso viene trattato con demagogia…. Nulla di nuovo all’orizzonte

  2. Cara Valeria,
    intanto grazie per il post che hai pubblicato domenica. Mi è stato di grande aiuto per scrivere l’articolo. Concordo con te. Il tema della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario è un problema forte, divisivo e molto difficile da affrontare vista l’attuale situazione economica. Ho l’impressione – e tu stessa lo fai notare – che attorno a questo argomento c’è molta demagogia, mentre il tema meriterebbe profonde analisi.
    Ma si sa, così va il mondo

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