I cavi sottomarini sono il nostro “Tallone di Achille” Nel Mar Rosso prove di guerra ibrida

Cavi sottomarini – foto tratta dal web

di Umberto Baldo

Devo confessarvi che mi sono chiesto fin dal primo minuto dell’invasione dell’Ucraina perché la Russia non abbia oscurato la Rete ed i social di Kiev.

Perché cioè non abbia impedito la diffusione di immagini francamente scioccanti, e quindi sicuramente poco producenti per Mosca, come il carro armato che schiacciava un’autovettura, o il condominio colpito da un missile, o i cittadini ucraini stipati nei rifugi antiaerei.

O il diffondersi di vere e proprie fake news, allora spesso costruite ad arte, come la fuga del Presidente Zelenski, poi smentita della realtà, le foto delle donne-pilota ucraine, fra l’altro tutte piuttosto “ben fornite”, o immagini di contraerea prese da un videogioco, o quelle di soldati ucraini che preparavano lanci di gas tossico sulla popolazione del Donbass, o la falsa notizia della diffusione di telefonini-bomba da parte dei russi, allora rilanciata addirittura dalla Rai. 

Onestamente non sono mai riuscito a darmi una risposta, perché sappiamo tutti che tagliare le reti di comunicazione è la prima mossa per accecare il nemico, e rendergli più difficoltosa la difesa.

Forse Putin riteneva che la guerra sarebbe stata talmente veloce da rendere inutile tale iniziativa? 

Forse non voleva inimicarsi del tutto gli ucraini, in vista di una riappacificazione che immaginava sarebbe seguita alla “guerra lampo”?

Forse ha scelto di lasciar funzionare i social per permettere ancora le comunicazioni istituzionali ucraine nel caso fosse stato lanciato il cessate il fuoco con l’accoglimento delle richieste di Mosca?

Potrebbe anche essere che i russi ci abbiano provato, ma non ci siano riusciti.
Probabilmente non lo sapremo mai, ma resta il fatto che di tutto può essersi trattato, tranne di una “dimenticanza”.

Quello che si è visto in questi due anni di guerra è che normalmente prima di una offensiva o di un attacco entrano in campo gli “hacker di Stato” per disturbare o accecare il complesso militare ucraino. 

Alle reti informatiche ci hanno invece pensato gli Houti, il gruppo guerrigliero Yemenita sostenuto dall’Iran, che secondo il sito di notizie israeliano Globes, rilanciato anche dall’Ansa, avrebbero messo fuori uso quattro cavi di comunicazione sottomarini tra l’Arabia Saudita e Gibuti.

I cavi danneggiati appartengono ai sistemi AAE-1, Seacom, EIG e TGN. 

Il cavo AAE-1 collega l’Asia orientale all’Europa attraverso l’Egitto, mettendo in comunicazione la Cina con l’Occidente; il sistema Europe India Gateway (EIG)  collega l’Europa ad Egitto, Arabia Saudita, Emirati ed India. 

La notizia non mi ha stupito più di tanto perché qualche tempo fa avevo letto che si era diffuso nelle Cancellerie occidentali un allarme, dopo che un canale Telegram, collegato ai miliziani yemeniti filo-iraniani, aveva pubblicato una mappa dei cavi che corrono appunto lungo il letto del mare del Medio Oriente compreso tra l’Africa nord-orientale e la penisola araba sud occidentale.

E sicuramente una mappa del genere si pubblica non a fini di divulgazione geografica, ma per mandare un messaggio ben preciso a chi di dovere. 

C’è poco da fare, i cavi sottomarini rappresentano il “Tallone di Achille” di Internet, data la loro vulnerabilità.

E purtroppo non ci sono alternative, se non quella di aumentare il numero di cavi, per deviare i flussi informatici in caso di incidenti o sabotaggi (resilienza).  

Infatti, sebbene Starlink di Elon Musk abbia reso popolare l’internet satellitare, questo tipo di sistema non può sostituire i cavi sottomarini, in quanto i satelliti sono utilizzati per fornire connettività nelle zone rurali o come soluzioni di emergenza, ma non possono sostituire completamente le infrastrutture fisiche perché non sono in grado di trasportare centinaia di terabit tra i Continenti.

I cavi Internet sottomarini (che spesso non sono più spessi di un semplice tubo da giardino)  sono più di 550 nel mondo, e 16 di questi attraversano per circa 1930 chilometri il mar Rosso prima di approdare sulla terraferma in Egitto e raggiungere il Mediterraneo, così collegando l’Europa all’Asia.

E’ chiaro che finché non ci sono conflitti va tutto bene, ma allorquando questi “colli di bottiglia” (tipo appunto il Mar Rosso, lo stretto di Malacca ecc.) diventano “zone calde” per questioni belliche,          queste “arterie informatiche” rischiano di essere brutalmente interrotte da soggetti legati all’estremismo politico-religioso o al terrorismo marittimo. 

Tanto per capirci, il collo di bottiglia più importante per l’Ue riguarda proprio il passaggio tra l’Oceano Indiano e il Mediterraneo attraverso il mar Rosso, perché è la via principale di connettività verso l’Asia (circa il 17% del traffico Internet mondiale passa attraverso questa rotta).

Ma è così facile tagliare i cavi?

In linea di massima sono posizionati in mare ad una  profondità media di 3.600 metri; main alcuni punti i cavi corrono a una profondità di circa 100 metri, e per danneggiarli o tagliarli  non sono necessari dei sottomarini.

Bastano un pugno di sommozzatori addestrati per “accecare” le comunicazioni fra Continenti, e gli Houti non hanno i sommergibili, ma chi sa andare sott’acqua con le cesoie in mano sì.

Abbiamo capito che senza cavi Internet non esiste, e poiché si tratta di infrastrutture insostituibili ma facilmente aggredibili, adesso il problema sta arrivando all’attenzione anche degli Stati.

Tanto per avere un’idea, dal 2019 la domanda di banda internet internazionale è triplicata, arrivando a superare i 3.800 terabit al secondo. Il boom dell’intelligenza artificiale, affamata di dati, potrebbe rafforzare questa tendenza. 

In pratica si prevede nei prossimi sei anni un aumento di quasi tre volte della capacità dei data center dei grandi fornitori di cloud. 

E per collegare questi data center a Internet, tra il 2020 e il 2025 l’industria dei cavi dati installerà 440mila km di nuove linee sottomarine.

Sappiamo bene che, da sempre, fin da quando gli uomini hanno cominciato a farsi la guerra, le informazioni sono state di fondamentale importanza.

Certo nell’antichità si trattava al massimo di infiltrare qualcuno nelle file del nemico per conoscerne le intenzioni, o mandare qualche pattuglia di esploratori per conoscere la disposizione delle truppe avversarie in campo.

Ma con il passare dei secoli, e l’affermarsi di certe tecnologie,  la raccolta di informazioni attraverso operazioni di intelligence può avvenire anche attraverso l’impiego di navi e sottomarini a ciò dedicati, capaci di intercettare le informazioni che attraversano tali cavi. 

Il danneggiamento vero e proprio dell’infrastruttura sottomarina, invece, causerebbe importanti danni nelle telecomunicazioni tra alleati, con rilevanti conseguenze in diversi settori. 

Ma a questo livello si configura uno scenario di guerra ibrida in cui le azioni poste in essere rimangono al di sotto della soglia di un aperto conflitto armato, ma non per questo sono meno rilevanti. 

Va da sé che, dato che i  rapporti tra Europa, Stati Uniti, Russia e Cina si stanno facendo sempre più tesi e delicati, la partita si giochi anche sul piano informativo e di Internet.

Non attribuire la giusta importanza a questi temi, anche in un’ottica di politica estera e di difesa nazionale, sarebbe quindi un grave sbaglio per tutti i Paesi occidentali. 

Tornando agli Houthi, è probabile che gli attacchi alle navi mercantili non vadano più così di moda  tra i guerriglieri, le cui missioni sono ora rese decisamente più complicate dalle operazioni degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, e adesso anche delle navi delle missione europea (la marina tedesca è già dovuta entrare in azione abbattendo dei droni).

In alternativa, mandare un pugno di subacquei nel Mar Rosso per interrompere i cavi sottomarini delle telecomunicazioni è il massimo per i guerriglieri: costa praticamente niente, infligge danni considerevoli, e  soprattutto offre una visibilità planetaria, visto che a restare senza Internet sono non solo le Istituzioni e le aziende, ma anche i cittadini degli Stati considerati nemici.

Mi resta solo un dubbio.  Siccome parliamo di cavi che collegano l’Asia all’Europa, mi chiedo quanto queste “iniziative” possano andare bene ad esempio alla Cina e all’India, le cui economie ne verrebbero pesantemente coinvolte, con un prezzo molto alto da pagare.

Forse gli Houthi dovrebbero fare mente locale sul fatto che tirare troppo la corda espone a rischi, perché a Pechino come a Delhi la politica è sicuramente importante, ma probabilmente lo sono di più gli affari. 


Pubblicato da Massimo Masi

Blog di Massimo Masi. Bolognese di nascita, piantato nella pianura, con una forte propaggine verso il mare. Non sono più quello di ieri, non so come sarò domani. Ma posso dirti come sono oggi, con i miei ieri (Alda Merini)