L’Oceano Indiano rientra alla grande nella geo-politica mondiale

Foto tratta dal web

di Umberto Baldo

Non si può dire che la storia di noi europei non sia legata al mare.

Prima l’Impero romano ed il “Mare nostrum”, poi le Repubbliche marinare, poi l’orizzonte si è ampliato a tutto l’universo terracqueo con i grandi imperi coloniali  in Asia, in Africa e nelle Americhe.

E non è un caso se il ‘500 sia stato definito il “secolo spagnolo”, dopo l’arrivo in America di Colombo e dei Conquistadores, il ‘600 il “secolo olandese , ed il ‘700 come il “secolo inglese”, che vide l’Union Jack sventolare sempre più su tutti i mari e tutti gli oceani sugli alberi della navi della marina di Sua Maestà Britannica.

Ma dopo la fine dei grandi imperi coloniali, e soprattutto con le due guerre mondiali, la nostra attenzione si è concentrata prevalentemente su due Oceani; l’Atlantico ed il Pacifico.

Un altro Oceano, altrettanto importante come vedremo, per lungo tempo non è stato al centro né delle nostre attenzioni né delle nostre preoccupazioni; e parlo dell’ Oceano Indiano.

Per noi europei questa sterminata distesa marina è sempre stata associata alla rotta per l’India, le Filippine, la Malacca, le Molucche, cioè alla rotta delle spezie, e  financo a fenomeni letterari come il Sandokan di Emilio Salgari, che scrisse di giungle ed isole esotiche senza quasi essersi mai mosso dalla sua Verona.

Ci sono voluti gli Houthi ed i loro droni per riportare l’attenzione del cittadino comune su questa parte del mondo.

Ma per capirci credo sia meglio fare un passo indietro.

Per migliaia di anni le regioni corrispondenti a Cina e India hanno potuto quasi ignorarsi per via della catena dell’Himalaya, che rendeva impossibile un’invasione terrestre su larga scala di una delle due civiltà contro l’altra. 

Oggi però i due giganti asiatici sono diventati potenze industriali affamate di energia, ed è soprattutto la Cina ad avere sia il bisogno di soddisfare un appetito energetico sempre maggiore, sia quello di allontanarsi dal suo spazio geopolitico naturale per uscire dal soffocamento impostogli dalle rotte marittime, dalle quali dipende lo status di potenza commerciale dell’impero di mezzo, con il risultato di entrare in rotta di collisione proprio con l’India nelle acque dell’Oceano Indiano.

Lo sviluppo della Repubblica Popolare Cinese oggi è legato in maniera determinante all’importazione di fonti energetiche e all’esportazione di manufatti. Per garantire questi flussi commerciali, è fondamentale la rotta che del Mar Cinese Meridionale attraversa lo Stretto di Malacca, porta di accesso all’Oceano Indiano e quindi al Medio Oriente, all’Africa, e all’Unione Europea attraverso il Canale di Suez. 

Non occorre essere strateghi per capire; basta guardare una carta geografica per rendersi conto di quei tre colli di bottiglia che sono appunto lo stretto di Malacca, lo Stretto di Hormuz, e quello di Bab el Mandeb, il controllo dei quali può garantire o bloccare il normale traffico navale. 

Quindi da un lato abbiamo la Cina che da anni sta  portando avanti la cosiddetta strategia del “filo di perle” ovvero la creazione di una collana ininterrotta di basi strategiche navali che si estendono dall’Indocina al Mar Rosso (Bangladesh, Birmania, Pakistan, Sri Lanka, Gibuti), dall’altro l’India che sente da sempre l’Oceano Indiano come il “proprio mare”, e che cerca di opporsi all’espansionismo cinese o direttamente (come sta facendo militarizzando le isole Andamane e le Nicobare), oppure con la rivitalizzazione ed il rafforzamento del dialogo sulla sicurezza del quadrilatero tra India, Giappone, Australia e Stati Uniti (Quad). 

Il terzo incomodo, direttamente interessato in base alla sua politica di “gendarme del mondo” (peraltro in fase di offuscamento) sono ovviamente gli Stati Uniti, con le loro basi in Kuwait, Gibuti, Bahrein, Oman e Singapore, da cui sorvegliano l’accesso ai principali stretti, o altre come quella sull’isola di Diego Garcia.

Il livello di tensione nell’area, e la ricerca da parte dei protagonisti di un ruolo egemone, la si tocca mano ad esempio in un arcipelago che per noi europei si associa all’idea di vacanze da sogno.

Mi riferisco alle Seychelles,un gruppo di 15 isole posto strategicamente nel mezzo dell’Oceano Indiano, che è da tempo teatro di un’intensa competizione diplomatica e commerciale tra India e Cina, ansiose di ottenere una base d’appoggio marittima per la propria espansione economica verso l’Africa orientale.      La lotta alla pirateria locale offre anche alle due potenze asiatiche il pretesto per offrire aiuto militare al Governo di Victoria, ponendo le basi per un futuro rafforzamento delle rispettive forze navali nell’Oceano  Indiano.

State tranquilli che nei prossimi tempi avremo modo di ritornare ad analizzare la situazione strategica dell’Oceano Indiano

Per il momento ci accontentiamo di prendere atto che l’Oceano Indiano, rotta privilegiata della Via della seta con i suoi choke point (passaggi obbligati), rappresenta il luogo in cui la marina cinese misurerà le proprie aspirazioni oceaniche contrapponendosi alla US Navy per costruire un nuovo “nomos” del nostro pianeta, alternativo a quello anglo-americano.

Non va poi sottaciuto che Indo Pacifico è un  termine politico, non geografico, ed il suo perimetro muta in funzione degli assunti strategici: ad esempio per gli USA l’area si estende dalle Hawaii all’India, mentre per il Giappone giunge a toccare le coste orientali africane, così come sembra per la Cina.

In sintesi mi sentirei di affermare che la relazione/scontro sino-indiana potrebbe caratterizzare il futuro geopolitico in Asia. 

Al momento l’UE sembra assente da queste dinamiche, probabilmente per non rischiare gli interessi commerciali con la Cina, anche se in un assetto geo politico come l’attuale chiamarsi fuori è del tutto impossibile, e le navi della Ue attualmente nel Golfo Persico lo stanno a testimoniare. 

Un’ultima considerazione che mi sembra non peregrina.

In tutto questo bailamme di mosse e posizionamenti strategici, in tutto questo varare navi sempre più potenti e armate, alla fine bastano quattro “beduini” (non me vogliano gli Houthi, ma così noi abbiamo sempre definito bonariamente gli arabi) con qualche drone e qualche missile gentilmente offerto de quei gentiluomini che sono gli Ayatollah iraniani, a tenere in scacco le marine più potenti del  mondo, incapaci di evitare per di più che i mercantili vengano colpiti e affondati.

Se a questo aggiungiamo che la moderna e potente marina russa nel Mar Nero sta subendo da parte ucraina perdite inaudite ad opera di  poveri barchini esplosivi, che assomigliano ai nostri Mas della seconda guerra mondiale, viene da pensare che la guerra sul mare nel futuro possa assumere caratteristiche decisamente differenti. 


Pubblicato da Massimo Masi

Blog di Massimo Masi. Bolognese di nascita, piantato nella pianura, con una forte propaggine verso il mare. Non sono più quello di ieri, non so come sarò domani. Ma posso dirti come sono oggi, con i miei ieri (Alda Merini)