Non so voi, ma io trovo la decisione di Dries Van Agt e di sua moglie Eugenie Krekelberg un enorme, infinito, atto d’amore reciproco.
L’ex premier olandese, di fede cattolica, ha deciso di porre fine alla vita assieme alla sua amata moglie, che per più di 70 anni era stata il suo “sostegno e l’ancora”, e a cui aveva continuato a riferirsi chiamandola “la mia ragazza”.
Sono morti “mano nella mano” a 93 anni, entrambi con la salute ormai precaria, ed entrambi con la consapevolezza che nessuno dei due avrebbe sopportato di sopravvivere all’altro.
Eppure questo, ripeto, infinito atto d’amore fra due persone che hanno vissuto e condiviso una vita assieme, con le sue gioie ed i suoi dolori, ha ridato fiato all’ormai eterna polemica fra chi è favorevole ad un fine vita dignitoso, e chi invece continua a imporre un secco “no” a qualsiasi legge o delibera che consenta una libera scelta del cittadino.
Non farò inutili polemiche con il Presidente della Cei Cardinale Matteo Zuppi, che è intervenuto contro il tentativo, fallito in Veneto, di regolamentare la materia da parte della Regione Emilia Romagna.
Come la pensano lui e la gerarchia cattolica è noto, ed è legittimo.
No, io la polemica la faccio con quelli che devono essere i veri ed unici interlocutori di un cittadino italiano: i Parlamentari della Repubblica.
Parlamentari che nonostante i numerosi ed espliciti inviti della Corte Costituzionale a legiferare finalmente sul tema del fine vita, per polemiche strumentali e divisioni ideologiche non hanno saputo, ma io penso non abbiano voluto, rispondere.
Non è la prima volta che, a fronte di temi divisivi, i nostri Parlamentari preferiscono assumere l’atteggiamento di Pilato.
Solo che qui non c’è da scegliere fra il mandare a morte Gesù o Barabba; c’è semplicemente da prendere coscienza che il problema del fine vita, sempre più sentito fra i cittadini, deve inevitabilmente essere regolato da una Legge dello Stato, per non costringere i malati terminali a viaggi in Paesi in cui la Politica il suo dovere l’ha fatto.
Magari sbagliando, magari non in modo perfetto, ma l’ha fatto, prendendosi la responsabilità di una decisione che comunque la si pensi è difficile.
Non è la prima volta che accade, e non sarà neanche l’ultima, perché i nostri politici sono in generale più portati a pratiche di sottogoverno, che ad affrontare problematiche di tipo etico, in grado di individuare un confine preciso fra fede e libertà.
Francamente non pensavo che a oltre due secoli dall’Illuminismo fossimo ancora qui a pendere dalle labbra di un Cardinale, per quanto autorevole, e ad essere condizionati dalle gerarchie ecclesiastiche.
Mi chiedo; perché stigmatizziamo quei Paesi musulmani che considerano i principi della Sharia diritto positivo, e come tale li impongono a tutti i propri cittadini?
Non è forse simile l’atteggiamento della Chiesa Cattolica su temi che dovrebbero essere di esclusiva competenza dello Stato, laico ed aconfessionale.
Ma la vigliaccheria di chi è da noi eletto e pagato per governarci non è più accettabile, né umanamente, né politicamente!
Sia che si consideri la vita un valore assoluto, oppure che non lo sia, la scelta coscienziosa di ogni singolo uomo va consentita, rispettata, salvaguardata.
Di fronte ad una condizione di sofferenza intollerabile e inguaribile un uomo deve essere libero di decidere se porre fine alla sua vita oppure no.
La sua libertà va garantita, custodita, favorita.
La sua dignità (non quella imposta da morali, filosofie o ideologie) va rispettata. L’unico giudice, per prendere determinate decisioni, è e deve essere la coscienza dell’uomo.
Sia chiaro che sono cosciente che quella del fine vita, ed a maggior ragione del suicidio assistito, è materia delicata, con risvolti etici, che non può essere trattata con superficialità.
Ma, ripeto, i Signori che siedono ben pagati a nostre spese a Montecitorio ed a Palazzo Madama dovranno pur degnarsi di rispondere alle invocazioni di chi soffre e di chi gli sta vicino, e si chiede: ma fino a quando è lecito prolungare una vita che non è più vita?
Perché all’essenza, questa è la “domanda delle domande”, e la mediazione politicaserve appunto a trovare il confine fra l’atto di liberazione dalla sofferenza, e l’arbitraria interruzione della vita.
Per questo trovo che la scelta di Dries ed Eugenie Van Agt sia la testimonianza insieme di un inestimabile atto di coraggio, e di un infinito amore.
Assieme se ne sono andati, mano nella mano, come erano vissuti per 70 anni.
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