Mentre in Europa tutte le attenzioni sono concentrate sulla crisi energetica, mentre da noi siamo interessati a sapere quanti voti prenderà Giorgia Meloni, in una città dell’Uzbekistan, che a noi occidentali evoca le “Mille e una notte”, la Samarcanda delle moschee e dei mausolei, domani e dopodomani si terrà il summit della Shanghai Cooperation Organization (Sco).
Non credo di esagerare nel dire che si tratta di un vertice importantissimo, sia per il momento storico in cui si svolge, sia per le presenze annunciate di Capi di Stato di quella parte del mondo che sta cercando di cambiare definitivamente gli equilibri geopolitici mondiali, in chiave anti americana ed anti occidentale.
Non è un caso che Xi Jinping, alla sua prima uscita dall’inizio della pandemia, prima di volare a Samarcanda abbia fatto tappa in Kazakistan, perché è da quel Paese che a suo tempo lanciò il grande progetto della “nuova via della seta”, di cui lo Sco rappresenta un indubbio elemento di continuità.
Per chi non lo ricordasse, questa organizzazione nata nel 2001 come meccanismo per favorire la risoluzione di dispute territoriali tra i sei paesi aderenti – Cina, Russia, Kazakhistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan (membri osservatori Mongolia, India, Iran, Pakistan, Turchia) è andata progressivamente istituzionalizzandosi, intensificando la cooperazione tra i suoi membri tanto su questioni di sicurezza quanto in ambiti come quello economico, energetico e culturale. Il piano militare e di sicurezza è senz’altro quello più rilevante, all’insegna della comune volontà degli aderenti di contrastare tre fenomeni che sono identificati come le principali minacce alla sicurezza regionale: il terrorismo, l’estremismo e il separatismo.
Ma perché questo vertice di Samarcanda è così importante?
Come accentato, in primis perché rappresenta il tentativo della Cina di Xi di dare la rotta per una nuova visione politica del mondo, e poi perché offre a molti leader i cui interessi nel passato spesso sono stati divergenti, di guardarsi negli occhi in una prospettiva futura.
A Samarcanda ci sarà Vladimir Putin, che assieme a Xi Jinping ha dettato l’agenda del summit, ispirata al principio del “contenere l’America”, in vista di un nuovo ordine mondiale a guida appunto russo-cinese.
Anche se, a mio avviso, le recenti vicende belliche in Ucraina non proprio entusiasmanti per lo Zar, unitamente all’incolmabile divario fra le economie di Pechino e di Mosca, rendono più plausibili una guida ed una predominanza cinesi.
Ma vediamo chi altri sarà presente!
Sicuramente ci sarà il primo ministro indiano Narendra Modi.
Presenza pesante, non solo per il crescente peso economico dell’India, ma anche perché l’anno prossimo New Dehli ospiterà sia lo Sco che il G20, diventando così un centro nevralgico del nuovo mondo multipolare.
L’essersi tenuta fuori dalla guerra in Ucraina ha consentito all’India di acquisire petrolio e materie prime russe a prezzi stracciati, e a riaprire un timido dialogo con Pechino, dopo decenni di scontri, anche armati, ai confini fra i due Stati.
E’ possibile che in quest’occasione ci possa essere anche un faccia a faccia fra Modi ed il premier pakistano Shehbaz Sharif, e sarebbe la prima volta fra questi due leader, che guidano due nazioni (entrambe potenze nucleari) da sempre sull’orlo della guerra.
Della partita anche l’Iran del Presidente Ebrahim Raisi, che esordisce quest’anno come paese membro dello Sco.
Nonostante le sanzioni occidentali, l’Iran si è molto mosso diplomaticamente in questi mesi. Dopo il vertice di luglio con russi e turchi, gli ayatollah hanno intensificato gli scambi commerciali con la Russia, alla quale hanno venduto droni militari usati in Ucraina, ed hanno stretto sempre più le relazioni con la Cina.
Fra i leader più osservati, e ricercati, ci sarà senz’altro Erdogan, dato che la Turchia è diventata il grande arbitro della guerra in Ucraina, è un Paese Nato ma anche partner della Sco dal 2013, e vanta relazioni commerciali eccellenti con la Russia e anche con la Cina. Mi chiedo da sempre se, date queste ambiguità, Ankara possa veramente essere considerato un Paese Nato, ma evidentemente in Occidente si valuta che è meglio tenersi la Turchia così com’è piuttosto che perderla definitivamente.
Una new entry sarà sicuramente l’Egitto, Paese nel quale a fine mese i turisti russi potranno pagare le vacanze in rubli invece in dollari.
L’Egitto ha intensificato lo scambio di materiale bellico con la Russia, e iniziato un dialogo con la Cina per investimenti congiunti nella via della seta.
Anche in questo caso Usa e Paesi occidentali sembrano stare alla finestra, cercando di barcamenarsi per non perdere del tutto il Paese dei Faraoni.
Come osservatori a Samarcanda ci saranno anche i talebani afgani, che dopo il ritiro dell’America ed il ritorno al potere a Kabul, si stanno rivolgendo a Pechino per aiuti ed assistenza (con tutto quello che vuol dire questo termine).
Come l’Egitto, anche Arabia Saudita e Qatar saranno presenti come invitati.
Al momento questi due Stati produttori di petrolio sembrano stare alla finestra, senza scegliere fra oriente ed occidente, ma approfittando comunque della guerra in Ucraina e dello Sco per tenere alto il prezzo del greggio e massimizzare le entrate di petrodollari.
Quindi mentre noi ci perdiamo nelle piccole beghe della campagna elettorale di un Paese ormai marginale nella geopolitica mondiale, illudendoci comunque di essere ancora al centro del mondo, sotto lo sguardo millenario dei leoni delle madrasse del Registan di Samarcanda si discute del futuro politico-economico del pianeta, partendo da questo luogo di competizione militare tra Est e Ovest, e nel quale lo Sco rappresenta una vastissima area geografica che conta circa la metà della popolazione del pianeta, ed un Pil complessivo degli stati membri che è circa un quarto del valore totale globale.
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