Per lavori e stipendi “decenti”

di Giovanni Gazzo

www.pensierieriflessioni.it e su X https://twitter.com/giovanni_gazzo

Non si può vivere con stipendi “indecenti”.<br>Il Salario minimo non basta, dichiara l’amministratore delegato di Michelin, Florent Menegaux.
Il quale precisa che: uno stipendio decente deve “sopperire ai bisogni essenziali di una famiglia di 4 persone”. Evidentemente in un sussulto di onestà intellettuale che dovrebbe imbarazzare molti suoi colleghi e politici che si mettono di traverso quando si tratta di legiferare a sostegno ragionevole dei lavoratori, e anche i “sindacalisti” di casa nostra che preferiscono fiancheggiare il governo piuttosto che lottare assieme ai “compagni naturali” di viaggio.
I risultati non arrivano dal cielo, ma solo quando il mitico “dialogo sociale”, altrimenti inutile, genera accordi per recuperare e tutelare il potere d’acquisto degli stipendi e delle pensioni, per migliorare la qualità della vita dei cittadini attraverso i servizi pubblici essenziali, lo sviluppo economico che produce coesione sociale.
Ovvero, salute e sicurezza, diritto alla sanità pubblica svincolato dall’obbligo di ricorrere a quella privata per essere curati tempestivamente, fisco coerente con la protezione dei salari e del welfare, non studiato per chi evade o può decidere a tavolino di pagarne meno con il beneplacito del governo.
Crederci e agire di conseguenza rimanendo sindacalmente uniti è la conditio sine qua non per ottenere risultati concreti, come si sta verificando nei rinnovi dei CCNL e dovrebbe verificarsi in tutte le occasioni in cui ci sono in ballo i diritti sociali dei lavoratori e dei cittadini.
E come purtroppo non avviene a livello confederale, dove la CISL va per conto proprio, sapendo che in questo modo rafforza le posizioni politiche e imprenditoriali contrarie alle rivendicazioni a suo tempo elaborate unitariamente.
La storia del movimento sindacale è maestra di vita nel mettere in chiaro che nulla è stato mai regalato ai lavoratori e, checché se ne dica, la dialettica politica e sociale, anche con momenti di aspro conflitto, rimane la principale costante del cambiamento che mira a umanizzare il lavoro, civilizzare l’economia, limitare lo strapotere della finanza.
Il solo fatto che si realizzino extraprofitti togliendoli dalle tasche dei cittadini tramite l’inflazione indotta e il contemporaneo taglio della spesa sociale, grida “vendetta”.
A partire dalla consapevolezza che milioni di lavoratrici e lavoratori italiani hanno stipendi insufficienti e, per giunta, erosi dall’aumento dei prezzi che ne riduce continuamente il potere d’acquisto, in mancanza di meccanismi automatici tutelanti esistenti in altri Paesi con sistemi relazionali più responsabili dei nostri.
Di fronte al fatidico “che fare?”, bisogna tenere presente che qualsiasi ipotesi di ri-strutturazione del sistema relazionale e contrattuale del nostro Paese, nella migliore delle ipotesi richiede tempi indeterminabili che, a mio parere, accentuano la necessità di agire qui e ora, sia pure con spirito anticipatore dei cambiamenti strutturali auspicati.
A mio parere, tuttavia, nessuna innovazione progressiva degna di questo nome è possibile se non si pratica contrattazione inclusiva con le grandi imprese, in grado di “condizionare” le imprese e le cooperative di servizi ad esse strutturalmente collegate tramite i capitolati d’appalto.
Grandi imprese che nel Terziario sono perlopiù catene commerciali, della ristorazione, alberghiere, di vigilanza e pulizie, consegna a domicilio e servizi vari con numerose unità produttive e postazioni sparse nel territorio che, a maggior ragione, richiedono risposte contrattuali a monte, come dimostrano i clamorosi interventi del Tribunale di Milano nei confronti di Esselunga, GS-Carrefour e altre grandi imprese nazionali e multinazionali.
Non basta intervenire dopo e solo nei confronti di quelle coinvolte.
Servono risposte di sistema.
La Grande Distribuzione, a mio parere, è la regina di questo grande problema.
Insomma, c’è tanto da fare, sia pure con lo sguardo proiettato verso una riforma capace di democratizzare il sistema relazionale, della rappresentanza e della contrattazione, capace di stroncare la velenosa concorrenza al ribasso che colpisce duramente le lavoratrici e i lavoratori.
A scioperare e manifestare in rappresentanza e nell’interesse della collettività ci sono CGIL e UIL, perché ad altri bastano i “tavoli” predisposti dai vari ministri e dalla Ministra del lavoro in particolare.
In verità i lavoratori farebbero volentieri a meno del conflitto.
Esso è generato da evidenti squilibri nel modo di produrre e distribuire la ricchezza.
Continuare a lottare per rimettere in equilibrio l’Italia tramite il lavoro come lo concepisce la nostra Costituzione é un imperativo morale.

Pubblicato da Massimo Masi

Blog di Massimo Masi. Bolognese di nascita, piantato nella pianura, con una forte propaggine verso il mare. Non sono più quello di ieri, non so come sarò domani. Ma posso dirti come sono oggi, con i miei ieri (Alda Merini)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.