Apple e la Cina

di Umberto Baldo

Immagine tratta dal web

PREMESSA
La globalizzazione è finita? Si torna all’autarchia o quanto meno ad una produzione di beni in aree ben determinate? Un altro articolo del Ministro degli Esteri di questo blog, Umberto Baldo che ci parla di Apple e del suo possibile addio alla Cina?


Ma voi pensate veramente che la partita della globalizzazione si giochi nelle pianure insanguinate dell’Ucraina?<br>E credete siano nel giusto i filo putiniani italici, ed i pacifisti un tanto al chilo, quando sostengono che a volere la continuazione della guerra ad oltranza sia in realtà Joe Biden?
Si tratta di una visione miope e limitata, basata su un eurocentrismo d’altri tempi, che pensa che il mondo sia ancora quello in cui le cannoniere inglesi, francesi, olandesi o tedesche piantavano le proprie bandiere ad ogni latitudine, e imponevano la supremazia del vecchio continente.
La realtà è profondamente diversa, ed è evidente che il futuro geopolitico del mondo non avrà l’Europa come terreno di scontro cruciale, bensì l’Asia ed il Pacifico.
E su quello scacchiere che gli Stati Uniti si confronteranno a muso duro con l’altra vera potenza mondiale.
Le schermaglie di questi giorni su Taiwan ne rappresentano la cartina di tornasole.
La Russia, per quanto potente e super armata, sarà uno spettatore nel confronto Cina-America, e l’ “operazione speciale” russa è solo un disturbo, di cui probabilmente Biden si sarebbe volentieri disinteressato se solo l’Europa fosse in grado di essere un oppositore credibile al neo imperalismo russo.
Ma l’Europa degli Orbàn, dei sovranismi alla Salvini e alla Le Pen, della logica bottegaia tedesca, dell’anti-atlantismo diffuso a vari livelli, dei 28 eserciti diversi, non è attualmente in grado di esprimere una politica estera e di difesa credibile, per cui la Nato diventa inevitabilmente la longa manus degli Usa per contenere il Putinismo arrembante.
Ma questo disturbo, al di là delle parole di circostanza di alleanza imperitura con la Russia, non è certo stato apprezzato neppure da Xi Jinping, che in conseguenza dell’invasione dell’Ucraina vede accelerare i tempi non solo di certi processi di ristrutturazione geo politica a livello globale, ma anche di ridimensionamento della globalizzazione, che negli ultimi decenni ha portato la Cina a diventare la manifattura del mondo.
Volete un esempio, che assume però un’importante valenza simbolica?
Il Wall Street Journal ha lanciato la notizia che Apple avrebbe deciso di lasciare la Cina.
Se questa notizia verrà confermata, la scritta riportata su ogni prodotto della “Mela”: “Designed by Apple in California. Assembled in China”, sarà destinata e diventare un ricordo, soppiantata magari da un assembled in India o in Vietnam.
Capite bene che non si tratta di una “cosuccia di poco conto” perché circa il 90% di telefoni, tablet, laptop, che moltissimi di noi usano (anche per scrivere questo pezzo) è da anni assemblato da manodopera cinese.
A spingere la Apple a programmare l’abbandono della Cina sarebbero una serie di fattori.
In primis la rigida politica dei lockdown decisa del Governo di Pechino in ossequio al principio della “tolleranza zero” nei confronti della pandemia da Covid, che ha scombussolato sia il timing della produzione, che delle consegne dei prodotti finiti.
E poi il nuovo clima di scontro fra superpotenze, che ha trovato nella guerra in Ucraina la sua miccia.
E’ evidente che Apple non potrà riportare la produzione di Mac, Iphone, Ipad, Iwatch negli Usa (reshoring) soprattutto perché, il costo di questi aggeggi crescerebbe almeno di cinque volte rispetto a quello attuale.
Quindi si attuerà semplicemente uno spostamento produttivo, seguendo però la logica politica del “decouplig”, cioè investendo solo in quei Paesi appartenenti al sistema di alleanze degli Stati Uniti.
Questo non vorrà certo dire la fine delle globalizzazione, ma sicuramente l’idea nata dopo la caduta del muro di Berlino che aziende e imprenditori fossero liberi di investire ovunque, soprattutto dove la forza lavoro costava poco, verrà ricondotta a logiche diverse.
Alcuni parlano addirittura di deglobalizzazione, ma io non sarei così drastico.
Le produzioni rimarranno fuori dagli Usa, e anche dall’Europa; semplicemente non saranno i cinesi a beneficiarne, bensì i lavoratori di altri Paesi considerati “amici”
Quindi globalizzazione sì, ma sempre più regolata dagli imperativi geopolitici, decisi alla Casa Bianca, o nelle principali Cancellerie dell’Occidente.
E’ evidente che tutto ciò comporta da un lato l’irrigidimento di certe posizioni, e dall’altro la ricerca di nuove alleanze strategiche, che assumeranno però sempre più una valenza economico-commerciale.
Detta brutalmente; vuoi che le mie multinazionali trasferiscano le loro produzioni dalla Cina verso il tuo sistema produttivo, con tutto ciò che ne consegue in termini di maggior lavoro per la tua popolazione?
Se lo vuoi devi mostrami di essere un alleato di cui possa fidarmi!
E’ questo il senso dell’attivismo, dei viaggi, dei contatti frenetici del Presidente Biden in Asia, finalizzati ovviamente proprio a consolidare certe alleanze tradizionali in chiave anti Pechino/Mosca, rafforzandole non solo dal punto di vista militare e politico, ma anche commerciale.
Cinismo dei Paesi ricchi nei confronti dei Paesi poveri?
Può essere, ma l’etica difficilmente entra nel lessico della politica internazionale.
E poi cosa stava cercando di fare la Cina con la sua via della seta, se non tentare di inglobare alcuni Paesi occidentali sfruttando la loro debolezza economica? Con la Russia, e in parte con l’Ungheria e la Grecia ci era riuscita, con l’Italia ci aveva provato, almeno fino all’arrivo a Palazzo Chigi di Mario Draghi.
Si era capito che la pandemia avrebbe segnato un prima ed un dopo anche a livello di rapporti fra Stati e di equilibri geopolitici.
Ci ha pensato Vladimir Putin, con il suo proditorio attacco all’Ucraina ad accelerare e forse a rendere irreversibile questo processo.

Assume quindi un indubbio significato emblematico che a dare inizio a questa nuova fase, abbandonando la Cina, sia proprio Apple, perché Steve Jobs, con le sue straordinarie creature e le sue visioni, ha rappresentato per un trentennio l’incarnazione stessa, quasi la sublimazione filosofica, della globalizzazione.
Chissà come avrebbe reagito a questa nuova fase che si apre davanti al mondo?


Pubblicato da Massimo Masi

Blog di Massimo Masi. Bolognese di nascita, piantato nella pianura, con una forte propaggine verso il mare. Non sono più quello di ieri, non so come sarò domani. Ma posso dirti come sono oggi, con i miei ieri (Alda Merini)