Noi italiani come “rane bollite”

principio della rana bollita

Caro Massimo, 

in queste assolate e calde giornate di metà agosto, anche se magari sei seduto a goderti il refrigerio su una spiaggia, o sotto l’ombra di un abete in montagna, nulla impedisce alla mente di vagare, di pensare.

In fondo il raziocinio, la capacità di elaborare pensieri complessi è ciò che contraddistingue la nostra specie.

Ma senza sconfinare nella filosofia, o nella poesia del “naufragar mi è dolce in questo mare”, ieri la mia mente si è concentrata su una domanda: ma perché non riusciamo mai a mettere a fuoco che il vero problema del nostro Paese ha un nome preciso: bassa produttività?

Certo per trovare una giustificazione la classe politica, ma noi italiani siamo complici dei nostri Demostene perché li votiamo, fa appello volta per volta a svariate motivazioni.

Nell’ultimo anno l’aumento dei tassi di interesse, l’innalzamento dei costi energetici, la diminuzione del potere di acquisto dei consumatori, la difficoltosa reperibilità delle materie prime e di beni intermedi, sono sicuramente argomenti inconfutabili.

Ma il problema non è recente, e l’Italia è costantemente tra gli ultimi Paesi per i livelli di produttività già dal 2001.

Oltre vent’anni!

Vent’anni in cui si sono succeduti Governi di orientamento politico diverso, ma che al di là delle belle parole, dei proclami ad uso dei “gonzi”, non sono riusciti non dico a colmare, ma neppure a scalfire, questo che a mio avviso è una sorta di “buco nero” per il nostro Paese. 

Non ho ovviamente nulla da insegnarti, ma senza dare niente per scontato, perché è importante la crescita della produttività? 

La produttività in realtà è un indice molto semplice, facile da capire anche per il Sior Bepi e la Siora Maria.

Tu mi insegni che si tratta del  rapporto tra quanta ricchezza si produce usando una certa quantità di lavoro, di capitale, o un mix dei due con altri fattori produttivi. 

Se la produttività aumenta, vuol dire che, ad esempio, un lavoratore lavorando per un intero anno ha prodotto più ricchezza dell’anno precedente. 

Questo non implica automaticamente che quel lavoratore guadagnerà di più ma che, se sarà bravo a contrattare (magari attraverso il Sindacato), essendo cresciuta la torta della ricchezza prodotta, potrebbe riuscire ad allargare la propria fetta.

Se cresce la produttività, si genera ricchezza per le aziende e per il Paese, che può essere usata oltre che per meglio remunerare il lavoro, anche per il welfare, e ne abbiamo bisogno come il pane, dato l’invecchiamento della popolazione. 

A questo punto non ci vuole certo un premio Nobel per l’Economia per capire che se stipendi e salari da noi sono al palo da decenni, e comunque sono nettamente inferiori a quelli dei lavoratori dei Paesi nostri competitors dove la produttività è costantemente aumentata, è proprio perché noi non siamo mai riusciti ad imboccare definitivamente la strada della crescita. 

Per spiegarmi meglio riporto interamente il noto principio della rana bollita:  Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50°C avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.

Cosa c’entra?

E’ una similitudine che a mio avviso spiega bene la nostra situazione.

Nel senso che per decenni non ci siamo accorti che la “temperatura dell’acqua in cui nuotavamo si stava scaldando, e non abbiamo capito per tempo che era arrivato il momento di reagire, di uscire dalla pentola, per restare nella metafora.

Non penserai certo che adesso ti dia la “pozione magica” per cambiare il mondo!

Sono decenni che le menti più raziocinanti, purtroppo sempre una minoranza,  lanciano allarmi sul problema della bassa produttività.

Invano, perché per cambiare veramente registro bisognerebbe mettere mano a tante di quelle cose da far tremare i polsi: dal basso livello tecnologico e dalle incompetenze di fondo degli addetti alla nostra Pubblica Amministrazione, dai livelli inaccettabili di evasione ed elusione fiscale, dalle norme pletoriche e di difficile lettura, dalla necessità che le leggi siano auto-applicative e non soggette al teatrino dei Regolamenti, dall’invasività della Giustizia Amministrativa, dalla totale inadeguatezza della Giustizia Penale e Civile.

Potrei continuare, e sono sicuro che anche tu avresti da aggiungere molte altre cose, ma in estrema sintesi si può dire che servono soprattutto elementi sistemici come la qualità delle istituzioni, l’efficienza del sistema giuridico, la burocrazia, la libera concorrenza, l’allocazione di risorse verso imprese produttive (incluso il funzionamento del mercato dei capitali), la qualità delle infrastrutture, e la competitività del capitale umano.

Tutte cose che vanno ad impattare, spiace dirlo, contro una politica che pensa che la migliore forma di governo sia il “panem et circenses”, con lobby di ogni tipo che lucrano proprio sulle inefficienze di sistema, compreso un Sindacato che non ha ancora capito che la dinamica novecentesca delle relazioni industriali è ormai da buttare alle ortiche.

Ma veramente pensiamo che la Meloni, Salvini, Schlein, Conte, ossessionati solo dal consenso elettorale, siano in grado di decidere e capire quali siano veramente i nodi da risolvere per sbloccare il Paese,  di individuare i settori economici a più alto potenziale (avendo il coraggio di lasciarne alcuni indietro, con le giuste politiche di assistenza sociale),  di porre le giuste priorità nelle politiche di sviluppo economico, e governare tutte le forze in campo (pubbliche e private) verso l’obiettivo comune della crescita? 

Guardando le politiche sui balneari e sui taxisti c’è veramente da dubitarne!

Venendo alle conclusioni, ammesso che sia possibile trarne, mi sono chiesto a quale cultura si ispirino i nostri Demostene, di qualunque parte e di qualunque colore. 

E forse rischiando di esser un po’ tranchant, mi sembra che l’ideale di economia che si è imposto sia un mix tossico di cultura cattolica e cultura marxista.

Ne consegue che l’obiettivo dei Governi non è quello di creare ricchezza aumentando la produttività, bensì di distribuirla, livellando quello che abbiamo, poco o tanto che sia (matrice cattolica), e contemporaneamente garantire a tutti quel poco che c’è in nome della riduzione delle differenze (matrice comunista).

Ti confesso che da sempre sono un ammiratore della Riforma protestante, e non tanto di Lutero quanto di Calvino, perché ha saputo iniettare fin dal ‘500 nelle società del  nord Europa  il gusto dell’impresa, e quindi del rischio individuale.

Da noi ha vinto la Contro-Riforma, e sono convinto che parte dei nostri mali derivano ancora dagli eventi di quei secoli passati.


Caro Umberto,

il problema della bassa produttività italiana è noto – come tu scrivi – da tanto tempo ed è sempre al centro di dibattiti, tavole rotonde e convegni.
Se ben ricordi solo pochi anni fa – grazie a Serge Lautoche – andava di moda affrontare il tema della “decrescita felice” che partiva proprio dall’esigenza di produrre di meno, di consumare di meno, di fare a meno di orpelli inutili.
Beppe Grillo e i primi accoliti del Movimento 5 Stelle ne fecero – addirittura . un manifesto politico-elettorale.
Ora questa sbornia è passata, anche se – penso – che questo tema andasse affrontato con meno demagogia e più responsabilità.

Io ritengo che la produttività sia importante ma non è l’unico mezzo per misurare la crescita. Faccio un esempio stupido. Se io produco 1.000 mollette per bucato al giorno che costono 10 euro ma dopo 3 bucati si rompono, tua moglie – la prima volta le compra – ma la seconda volta si rivolgerà ad un’altra ditta che produce di meno ad un costo più alto ma con una durata superiore.
Ecco, il problema per me è abbinare la produttività con l’eccellenza del prodotto. Ed è stato questo – negli anni – il successo dei prodotti italiani all’estero.
Mentre concordo con te – ma ne abbiamo parlato decine di volte – che il nostro paese non crescerà mai finchè le lobby lo domineranno. L’altra sera sentivo al telegiornale “della 7” un tassista che diceva: “ma che mi importa a me se la gente fa la fila adesso, io a novembre non lavoro perchè mancano i turisti“. E pertanto – conclusione del ragionamento – sono contrario all’aumento anche temporale delle licenze. E tralascio – per amor di Patria – il comportamento della lobby degli impianti balneari.

Un riferimento al principio della “rana bollita“. Guarda cosa sta capitando sul prezzo della benzina con i continui aumenti, con lo Stato che ci guadagna con le accise e l’IVA e il Ministro del Made in Italy, afferma che escluse le accise la benzina in Italia costa meno che all’estero. Grazie al c…o anche la mia pensione sarebbe buona se non ci pagassi le tasse e invece diventa una normale pensione post prelievo. E si dicevano pronti …

Infine non entro nel merito di Lutero, Calvino e la chiesa cattolica. Certo è che alcuni retaggi culturali del papato di Roma ce li porteremo dietro per ancora tanti anni. D’altra parte – a proposito di produttività – siamo o non siamo – il popolo “di Franza o di Spagna, basta che se magna“?

Ciao Umberto!!!


Pubblicato da Massimo Masi

Blog di Massimo Masi. Bolognese di nascita, piantato nella pianura, con una forte propaggine verso il mare. Non sono più quello di ieri, non so come sarò domani. Ma posso dirti come sono oggi, con i miei ieri (Alda Merini)