Il termine imperialismo, coniato nella Francia dell’Ottocento, è stato declinato in svariate accezioni, ma in estrema sintesi si può definire come la tendenza di una Nazione a imporre il proprio dominio economico, e a condizionare la politica interna di altri Paesi.
E’ stato in particolare nel continente africano che l’imperialismo ha trovato la sua massima “applicazione”, e nei secoli sono stati gli europei a diventare i veri “padroni” dell’Africa, decidendo sulla carta i confini statuali di questo gigante, per poi piazzare le proprie bandierine nazionali.
Gran Bretagna, Francia, Portogallo, Belgio, Germania e in piccola parte l’ Italia, hanno preso il controllo dell’intero continente sfruttando ogni risorsa possibile.
Dagli anni ’60 del secolo scorso è iniziata la cosiddetta decolonizzazione, ma gli Inglesi con il Commonwealth delle Nazioni, ed i Francesi con Francafrique hanno continuato a intromettersi e a manipolare la politica interna dei nuovi Stati.
Ma già in quegli anni, spinti allora da motivazioni ideologiche, sia la Repubblica Popolare Cinese che l’Unione Sovietica cominciarono ad affacciarsi sullo scenario africano.
Negli ultimi decenni gli Stati Uniti sembrano aver perso interesse alle vicende africane, forse perché occupati in altre aree del mondo, mentre la Cina si è sempre più impegnata concretamente in questo continente principalmente utilizzando i prestiti a lunga scadenza, costruendo strade, ponti e porti, e soprattutto creando un sistema di mercato in costante crescita.
A ruota di Pechino la Russia del nuovo corso voluto da Vladimir Putin ha puntato fortemente le sue attenzioni sull’Africa, ma facendo leva più che altro sull’aspetto militare, diventando il primo fornitore di armi e tecnologia bellica.
In poche parole, mentre i cinesi puntano a legare gli Stati africani con il cappio di prestiti che sanno che non potranno essere restituiti, chiedendo in cambio materie prime, territori da sfruttare, e basi commerciali/militari, la Russia coltiva fortissimi legami con le élite militari emergenti, si inserisce ed organizza continuamente colpi di stato, offrendo i servizi delle famigerate milizie Wagner, mettendo al potere giunte militari che aprono a Mosca le porte di quei Paesi.
Il problema è che i popoli africani non percepiscono cinesi e russi come portatori di una nuova forma di imperialismo (economico il primo, militare il secondo), e anzi lo sentono come una forma di affrancamento dal passato coloniale di matrice europea.
Europa che, date le condizioni, di fatto è stata estromessa dai giochi politici dell’Africa, che saranno sempre più determinanti nel futuro date le ancora enormi ricchezze, la sua centralità geo-politica, il suo ruolo come mercato emergente, e da non trascurare i suoi determinanti voti in sede di Nazioni Unite.
Ma poiché la partita fra Stati Uniti e Cina (la Russia a mio avviso avrà sempre più un ruolo gregario di Pechino) si gioca ormai a livello mondiale, a parte il sud est asiatico in cui a causa dell’affaire Taiwan siamo quasi ai ferri corti, c’è un’altra area in cui Xi Jinping sta ampliando la sua presenza economica; il Sud America.
E da qui bisogna partire, dal fatto cioè che la Cina ha già superato gli Usa come principale partner commerciale del continente sud americano.
Ma come è potuto accadere nonostante la Dottrina Monroe (l’America agli americani!), proclamata nel 1823, che aveva posto tutta l’America Latina all’interno della sfera di influenza degli Stati Uniti, e da allora ha effettivamente impedito alle potenze straniere di metterci piede?
Probabilmente per trascuratezza, o forse anche per troppa sicurezza; fatto sta che quello che gli americani consideravano da sempre il loro “giardino di casa”, in cui erano abituati a fare e disfare Governi, sta sempre più passando nell’orbita cinese.
Per accorgersene basta semplicemente leggere le cronache.
All’inizio di aprile, il presidente brasiliano Luiz Inàcio Lula da Silva ha invitato gli Stati Uniti a smettere di “incoraggiare” la guerra in Ucraina.
La Cina ha già costruito una stazione di osservazione spaziale in Patagonia, e ora sta facendo pressioni sull’Argentina per costruire una propria base navale.
E dato che l’Argentina è ormai al default del debito, con l’inflazione che sta superando il 100%, e con un Governo populista al potere, la Cina alla fine potrebbe ottenere ciò che vuole.
Ma anche il Venezuela è diventato estremamente suscettibile all’influenza cinese (e russa) dopo decenni di disastrose politiche economiche.
E poiché è in atto uno spostamento a sinistra di tutto il continente sud americano, il risultato potrebbe tradursi in politiche estere non allineate con gli interessi statunitensi, per non dire che con l’erosione dell’influenza economica degli Stati Uniti, la loro capacità di impedire alle forze armate straniere di stabilire una presenza in Sud America è sempre più a rischio.
Torno a ribadire, visto che stiamo parlando di nuovi imperialismi, che contrariamente alle politiche ottocentesche degli europei, i cinesi non si presentano a questi Governi con le cannoniere, o con le facce arcigne dei militari (come fa invece la Russia).
La Cina paga bene le risorse (alimentari, minerarie ecc) che acquisisce, si presenta come finanziatore di questi Paesi indebitati (anche se con vincoli capestro di cui i beneficiari si accorgono in un secondo tempo), ma soprattutto sembra tenere in scarsa considerazione le linee guida sulla corruzione su cui insistono la Banca mondiale e il Fondo Monetario Internazionale.
Inoltre, la Cina non è mai stata colta in flagrante a promuovere colpi di stato come hanno fatto gli Stati Uniti in più occasioni nel secolo scorso (Argentina, Cile, Brasile, Nicaragua ecc.), e come sono usi fare adesso i mercenari della Wagner al soldo del Cremlino.
In definitiva oserei dire che il neo imperialismo cinese di presenta come un “imperialismo dal volto umano”.
Io penso che questo “arretramento” di fatto anche nella loro tradizionale sfera di influenza sud americana, cui si accompagna un’analoga perdita di ruolo in altri scacchieri, e penso ad esempio al Mediterraneo, e al Medio Oriente dove la Cina è riuscita a far dialogare niente meno che Arabia Saudita e Iran, dovrebbe convincere sempre più noi europei che per il futuro non potremo più fare affidamento sull’ombrello protettore degli Usa, semplicemente perché gli scacchieri da presidiare sono troppi e gli attori sulla scena sono sempre di più.
Senza contare il rischio che Trump o qualcuno che la pensa come lui possa in futuro vincere le elezioni e dare inizio ad una nuova fase dell’ America First, che altro non sarebbe che un ripiegamento su se stessa.
Non ci resta che fare di necessità virtù, dotandoci delle armi e delle strutture militari in grado di difenderci qualora qualcuno pensasse di attaccarci (e dopo l’Ucraina non parliamo più di scenari puramente ipotetici).
Sempre nella logica che “prevenire è meglio che curare”.
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