Conversazione-intervista con Mariangela Pani, giornalista professionista, felicemente pensionata.

Mariangela Pani – foto scelta dall’intervistata

Due mesi di pausa nelle conversazioni-interviste con i “miei amici influencer“, ma sono successe tantissimi fatti in questo periodo e qualcuna mi ha anche dato “buca“. Ma capita.
Oggi riprendiamo e dal mar Adriatico arriviamo nel Lazio e più esattamente a Cerveteri.
Qui incontriamo Mariangela Pani, una mia amica di facebook da molti anni, di professione giornalista ed ora, finalmente – come dice lei – pensionata determinata a fare tante cose.

Quando l’altro giorno ho raccontato al mio amico di blog, Umberto, che l’avrei intervistata mi ha subito chiesto se una brutta malattia mi avesse colpito improvvisamente: “ma come tu, scribacchino da due soldi, che intervisti una giornalista professionista? Ma dai…
Ho cercato di spiegargli che conosco Mariangela da tempo, che ha condotto incontri e tavole rotonde quando ero in posizione apicale nel sindacato. Niente! Non l’ho convinto. Mi ha pronosticato una brutta figura.
Poiché sono un amante del pericolo e delle brutte figure continuo nel mio intento di fare quattro chiacchiere con Mariangela.
Intanto dove possiamo trovarla sui social: su Facebook – oltre 1.200 amici come Bilbo Bettina che sono due sue amabili creature canine, su Twitter con il nick name @mariangelapani e Linkedin con account Mariangela Pani.

Mariangela è nata a Firenze e vive attualmente a Cerveteri. Abbiamo in comune la passione per i cani – lei ne ha qualcuno più di me – studi classici e università a Firenze. Ha lavorato – poi ce lo racconterà meglio – presso tanti giornali e per un’agenzia di stampa importantissima come l’ADN Kronos.

Ma bando alle ciance e iniziamo la conversazione.

D. Ciao Mariangela. Non possiamo non iniziare la nostra conversazione parlando dei tuoi cani. Come scrivi nella tua bio sui social: Giornalista, fiorentina prima di Renzi, è gentilmente ospitata a casa dai bassotti Bilbo Baggins, Bettina, Pepita e Geppo. Con Lola e Toffee nel cuore. Allora, cara ospite, cosa mi racconti dei tuoi padroni…

R. Hai detto bene! I miei padroni! Sono ben 4 e tutti di una razza particolare: sono bassotti e tutti ‘trovatelli’. Il più anziano (Bilbo Baggins, dall’omonimo personaggio de ‘Il Signore degli Anelli’, libro che amo molto), viene dal canile municipale della Muratella di Roma. Vagava denutrito per le strade di Roma, senza microchip (colgo l’occasione per raccomandare a tutti i proprietari di cani di microchipparli!), lo hanno portato al canile, era il 2015. Il caso ha voluto che io, che all’epoca non avevo ancora un account Fb, abbia visto una trasmissione dove si chiedeva un’adozione urgente per un bassottino infortunato. Cercando quel bassottino (che poi ha trovato felicemente famiglia) ho incrociato gli occhi bellissimi e spaventati di Bilbo (che al canile era stato soprannominato Giotto) ed è scattato l’amore. Perché coi cani, esattamente come accade per gli umani, scatta un vero e proprio innamoramento.

Associazione Bassotti . foto tratta da faebook

Le altre tre pesti hanno una storia diversa: vengono da adozioni presso l’Associazione Bassotti e poi più, un’importante organizzazione che ha come mission proprio il recupero e l’aiuto di bassotti in difficoltà. Non tutti sanno che il bassotto è un cane che purtroppo va soggetto ad abbandono o rinuncia di proprietà, anche per via delle serie patologie discali e cervicali a cui è soggetto che possono anche provocare emiplegie ed invalidità permanenti. Patologie che richiedono interventi costosi e recupero fisiatrico. L’Associazione è un rescue di razza, si occupa, cioè, di sostenere e trovare casa a questi piccoletti. Grazie a Bassotti e poi più nella mia casa sono entrati in ordine cronologico: Bettina, Pepita e Geppo. Tutti provenienti da situazioni critiche o abbandono.

D. Come nasce il tuo amore per i cani?

R. E’ un amore che ho respirato con il latte materno si può dire. Nella mia casa c’era sempre un posto per un cagnolino, per un gatto, per un pesce rosso, una tartaruga, addirittura una civetta. Un mio zio cacciatore (sono toscana e durante la mia infanzia la caccia era ancora praticata senza sensi di colpa, ora per fortuna le cose sono cambiate) mi portava spesso animali che trovava nel bosco feriti o ammalati: un riccio, una piccola volpe, molti uccellini. Ho imparato così a prendermi cura di questi esseri viventi e poi a liberarli, una volta che erano guariti. I cani erano fedeli compagni di vita di tutta la mia famiglia.

D. Mi ha impressionato – tempo fa – la tua costanza nel cercare un tuo cane, anzi una tua creatura che si era persa nel bosco. Raccontaci cosa è successo…

R. Sì è stata una vera e propria avventura! Il cane di cui parliamo è Geppo un vivace bassottino a pelo ruvido ‘fogliasecca’ (si chiamano così quei cani che hanno appunto il manto del colore delle foglie secche in autunno), l’ultimo arrivato nella nostra famiglia. Geppo, di tutti i miei cani, è quello che ha sicuramente la storia più dolorosa: finito chissà come nelle mani di una maltrattatrice seriale, è stato liberato dalla sua prigionia (veniva tenuto dentro una gabbia da polli) da un intervento coordinato di carabinieri, Asl, Servizio Veterinario territoriale, in seguito alla denuncia di varie associazioni animaliste. Alla ‘signora’ (se così si può chiamare) che opera nella Sabina, sono stati sequestrati negli anni e nel corso di varie operazioni, circa 600 cani, ma la follia accumulatrice non ha risparmiato neanche cavalli, gatti e pecore. Tutti spesso lasciati senza cibo, senza acqua e divorati da insetti e topi. Di questa ‘signora’ mi sono occupata anche con vari servizi giornalistici.

Geppo – foto tratta da facebook

Dunque, si può capire quanto Geppo fosse traumatizzato quando è arrivato con noi e, alla prima occasione che ha avuto, è scappato. Eravamo nel senese (dunque lontani da casa) e Geppo era con noi da poco tempo: è schizzato via per campi e boschi, saltando giù dalla macchina. E’ iniziata una ricerca palmo a palmo, volantinaggi in tutti i paesi dell’area e la popolazione del posto è stata semplicemente meravigliosa, ci ha aiutato tantissimo. In particolare, si è formata, nel giro di poche ore, una squadra di persone fantastiche che hanno iniziato a cercare Geppo con criteri scientifici e professionali: mettevano delle ciotole con bocconcini contati sopra un letto di farina e la mattina presto andavano a fotografare le impronte dell’animale che aveva mangiato i bocconcini. Le foto venivano spedite a un veterinario specializzato nella lettura delle orme, che diceva se erano di cane o altro animale selvatico. E’ stata poi disegnata una mappa degli avvistamenti, in base alle segnalazioni telefoniche che ci arrivavano, è stata installata una foto-trappola e anche una gabbia-trappola (tutto nel rispetto delle leggi e con le necessarie autorizzazioni). Dopo 23 giorni, il fuggitivo non ha resistito al richiamo di un delizioso profumino di pollo arrosto piazzato caldo caldo nelle gabbia-trappola e si è fatto prendere. Da allora non fugge più e noi abbiamo scoperto, grazie a lui, quanta generosità ci sia ancora in molte persone grazie a quei fantastici ragazzi.

D. Fantastico racconto. Ultima domanda suoi tuoi padroni. Come riesci a conciliare i tuoi tempi, di lavoro e di vita normale e quotidiana con i tuoi padroni?

R. Abito in una casa con giardino, presa apposta per loro. E poi mio marito se ne occupa molto insieme a me e anche mia figlia, che abita a Roma ed è anche educatrice cinofila, alla bisogna mi dà una mano.

D. Ora parliamo del tuo ex lavoro, anche se credo, che giornalisti “è per sempre”. Intanto come è ti è venuta l’idea o l’ispirazione di intraprendere questa professione?

R. Ovviamente mi è sempre piaciuto scrivere, ma nel mio caso, la scelta di questa professione è stata abbastanza fortuita. I miei studi sono stati di tutt’altro tipo (sono una delle prime logopediste laureate in Italia, ho una formazione scientifica), ma il caso ha voluto che appena laureata guadagnassi poco e mio padre si sia ammalato seriamente (mia madre è morta quando io avevo 12 anni). Avevo bisogno di guadagnare soldi per vivere e una mia amica che lavorava a La Repubblica, giornale che esisteva da circa 8-9 anni, mi propose di candidarmi per una sostituzione di una segretaria di redazione che andava in maternità. Feci un colloquio con il mitico Rolando Montesperelli, carissimo capo della segreteria di redazione di Repubblica, scomparso circa due anni fa, e fui assunta per 6 mesi. In realtà, poi rimasi per molto tempo. E fu l’inizio di un percorso che è durato fino a quando non sono andata in pensione.

Squadra al completo!!!- foto tratta da facebook

D. La tua carriera di giornalista come si è svolta?

R. La mia carriera giornalistica è stata varia, eclettica, come la mia formazione, come il mio carattere direi. Ho iniziato nella segreteria di redazione di Repubblica, poi sono andata alla Cronaca di Roma, poi mi sono trasferita a Milano dove lavorava il mio primo marito e sono andata a lavorare a Italia Oggi, prima ancora che uscisse il primo numero con il compianto direttore Marco Borsa. Poi c’è stata una bellissima parentesi palermitana al glorioso giornale L’Ora. Solo un anno, ma che ne è valso 20. Era il 1989, in città era sindaco Leoluca Orlando, Giovanni Falcone subì l’attentato all’Addaura, la loro vita insieme a quella di Salvatore Borsellino era blindata, e anche noi eravamo sempre sotto scorta. Quando portavo la bimba all’asilo vedevo la macchina che ci seguiva piano. Orlando ci veniva a trovare a tarda notte, e prima che salisse a casa gli agenti perlustravano scale e ascensore, mentre la scorta aspettava giù di sotto armata. Ogni notte il sindaco dormiva in una caserma diversa, neanche la moglie sapeva dove fosse…Anni difficili ma intensi e che mi hanno fatto crescere professionalmente e umanamente. Rientrata a Milano sono andata a lavorare nel gruppo Giorgio Mondadori che aveva lanciato Airone Junior, la versione per ragazzi della bella rivista Airone. Poi mio marito ha assunto la vicedirezione de ‘La Gazzetta di Mantova’ e ci siamo trasferiti a Mantova (nel frattempo era nato Pietro, il mio secondo figlio) e lì ho lavorato molto nelle istituzioni culturali soprattutto a Palazzo Te. A Mantova ho avuto l’ufficio più bello che si possa immaginare: in un’ala delle Fruttiere di Palazzo Te, tra gli affreschi di Giulio Romano e il ninfeo ideato per Isabella Boschetti, amante del duca Federico II Gonzaga. A Mantova sono rimasta per oltre 5 anni, collaborando anche a una Radio e alla Gazzetta, e poi mi sono spostata  a Pescara, sempre al seguito di mio marito, dove ho lavorato per una grande agenzia di comunicazione e, dopo il divorzio, sono tornata a Roma dove sono stata capo ufficio stampa di Italia Lavoro (oggi Anpal) e poi redattore economico Adnkronos, specializzata sul lavoro. All’agenzia di stampa ho lavorato fino alla pensione. Una carriera movimentata e, per me, bella!

D. Caspita, davvero un bel percorso professionale. Entriamo più nel merito. Cosa ne pensi dell’Ordine dei giornalisti, tanto chiacchierato da più parti?

R. Francamente, non ne sento l’esigenza. I giornalisti hanno sì bisogno di essere tutelati dagli attacchi del potere che li vede sempre come un incomodo, ma non mi pare che oggi l’Ordine assolva a questo compito. Anche la formazione resa obbligatoria anni fa come per tutte le professioni, e gestita dall’Ordine, la vedo come un’occasione sprecata. Qualcosina si sta muovendo, ma vedo l’Ordine ancora incatenato a vecchie logiche, quando ormai il mestiere di giornalista oggi è cambiato tantissimo. Certo, ci vogliono sempre, anzi oggi più che mai le regole deontologiche, ma è necessario un Ordine? Siamo credo l’unico Paese al mondo ad avere un albo governativo per i giornalisti. Siamo in un’epoca di grande trasformazione: rimanere attaccati ai vecchi schemi è solo dannoso.

Date un divano anche agli umani!!! Foto tratta da facebook

D. In una recente telefonata abbiamo parlato del giornalismo di oggi. Ho fatto una battuta affermando che ci sono pochi giornalisti e molti giornalai, nel senso che c’è molta gente che scrive ma pochissimi approfondiscono. Tu cosa ne pensi?

R. Quando parliamo del giornalismo di oggi dobbiamo innanzitutto pensare a come è cambiato il ‘medium’, il mezzo. E il mezzo, naturalmente, influenza il linguaggio e il contenuto. La diffusione dei social ha ‘liberato’ la produzione di contenuti da tutta una serie di regole e vincoli a cui, invece, il lavoro giornalistico è (o sarebbe) ancora sottoposto. E il risultato è sotto gli occhi di tutti: siti civetta, titoli fuorvianti, articoli sgrammaticati e senza senso…Ma ha anche liberato il pensiero e l’espressione dal vincolo di avere un editore, un qualcuno che mette i soldi e che quindi, in qualche maniera, può condizionare. La soluzione è sempre comunque la stessa: l’autodeterminazione, l’empowerment per dirla in inglese, del lettore. È il lettore che deve saper scegliere, valutare, e anche giudicare. Come si fa? Leggendo e rileggendo, confrontando le varie posizioni, cercando di capire quale sia una fonte attendibile e facendosi delle domande a cui si cerca di dare risposte corrette.

D. Il mestiere del giornalista è bellissimo, lo sai che ti invidio moltissimo. Nella tua carriera, senza citare fatti o nomi, hai mai avuto pressioni per scrivere o non scrivere determinati articoli?

R. Domanda imbarazzante..:-) . In realtà no. Ma quando si parla di pressioni, non si deve pensare al direttore che ti punta la pistola alla tempia! C’è piuttosto un auto-censura del giornalista, derivata dal sapere che quel personaggio pubblico ha in essere un grosso contratto pubblicitario con l’azienda o dall’aver orecchiato, da colleghi o in riunione, quale sia quella che una volta si chiamava la ‘linea politica’ del giornale. Un’auto-censura legata anche alla presenza di molto precariato. Chi è precario e sottopagato è ricattabile ed è anche ingiusto, da questo punto di vista, metterlo sotto accusa. L’opinione pubblica ha dei giornalisti un’idea di una categoria di privilegiati. Ma non è così. Questo forse poteva essere vero fino a 10-15 anni fa, ma ora nelle redazioni lavorano tanti bravi ragazzi competenti, spesso pagati poco e assunti con stage o contratti a tempo determinato. E riguardo alla censura, last but not least, non tutte le testate sono neutrali, anzi alcune sono dichiaratamente schierate da una parte o dall’altra. Dunque, chi lavora in quelle testate una linea da seguire ce l’ha per forza.

D. Adesso sei in pensione. Consiglieresti ad una ragazza o a una ragazza di intraprendere la strada del giornalismo?

R. Ma sì! Anzi io confido molto nei giovani, che portano sempre idee nuove, aria fresca, energia pulita. Mi auguro solo che siano pagati dignitosamente, perché purtroppo, negli ultimi anni, complici la crisi dell’editoria e la voglia di profitti sulle spalle dei lavoratori, gli stipendi medi si sono abbassati molto. Anche il praticantato obbligatorio di 2 anni prima dell’esame è diventato uno strumento di ricatto. E ci sono aziende che dicono: “Se vuoi fare il praticante, prima stages gratuiti o collaborazione a due lire”. Inaccettabile.

D. E secondo te c’è un futuro per i giornalisti o con l’intelligenza artificiale, con la digitalizzazione, con l’on line che prevarrà, il ruolo del giornalista come sarà?

R. Nessuna macchina sostituirà mai il cervello umano. In America ci hanno già provato, sperimentando un generatore informatico di notizie. Non mi pare abbia funzionato. Invece la digitalizzazione sarà preziosa, anzi lo è già, per la conservazione della memoria e degli archivi e per l’allargamento delle competenze. Il giornalista sarà sempre di più autonomo, produttore di notizie ed editore di sé stesso.
D. Restiamo nel campo del giornalismo, ma affrontiamolo con un sorriso: qualche aneddoto, qualche fatto simpatico che ti è successo nella tua carriera.

R. Ho conosciuto molti personaggi famosi, più che altro del mondo politico ed economico. Ma a volte mi è capitato anche di interloquire con personaggi della cultura e dello spettacolo.

Francesco Guccini – foto tratta dal web

Quando lavoravo alla radio una delle interviste più belle e generose che ricordo è stata quella con Francesco Guccini personaggio in genere schivo e di poche parole. Lo intervistai in occasione dell’uscita del suo primo libro e fu un fiume in piena, a dispetto di tutte le previsioni tanto che non sapevo a un certo punto come fargli capire che il tempo a disposizione era finito. Un altro personaggio che mi ha molto affascinato è stato l’architetto Massimiliano Fuksas, anche lui uomo dalla reputazione terribile tra i giornalisti. Quando lo chiami e gli chiedi per cortesia ‘La disturbo?’ lui risponde puntualmente ‘L’ha già fatto’. Ma siccome io sono una toscana testarda e non mi lascio intimidire, insistendo con pazienza sono riuscita a entrare nelle sue grazie e alla fine all’Adnkronos, quando c’era da intervistare un’archistar, foss’anche per la cultura o per lo sport (io ho sempre lavorato in redazioni economiche), chiamavano me. Sono stata a visitare anche il suo meraviglioso studio romano, un palazzetto medioevale nel cuore di Roma dove ho potuto vedere il modello della Nuvola prima ancora della sua inaugurazione.

D. Adesso parliamo un po’ del privato di Mariangela. La tua famiglia?

R. Sono felicemente sposata in seconde nozze con Massimo, grande velista e skipper, adesso in pensione. Ci accomuna la passione per il mare, per la vela e per gli animali. I miei figli, Marta e Pietro, hanno rispettivamente 35 e 31 anni: Marta è una biologa e lavora in una Onlus che opera all’interno del Parco Valle dell’Aniene a Roma e gestisce attività di educazione ambientale per grandi e piccini, progetti e scambi internazionali su buone pratiche di salvaguardia ambientale, orti urbani e molto altro ancora. Pietro è un economista: ha conseguito la laurea triennale a Roma, la magistrale a Vienna e nella capitale austriaca ha lavorato per diversi anni alla Erste Bank come Risk Manager. A settembre di quest’anno è rientrato in Italia, entrando a far parte di un team di ricerca avviato da Generali, come ESG Quant Analyst. Insomma, è un collega tuo! Vive a Torino, città bellissima, che anche io ho imparato ad apprezzare.

Cerveteri – foto tratta dal web

D. Ho visto che a Cerveteri sei molto impegnata nel sociale

R. Vivo a Marina di Cerveteri sul litorale nord laziale. Questo è un territorio ricco di storia e di bellezza: la Necropoli etrusca della Banditaccia è patrimonio Unesco, a due passi ci sono Vulci e Tarquinia. Ma la cosa veramente importante è stata la riscoperta del valore della comunità locale. Darsi una mano l’un con l’altro, cercare di migliorare la vita dei cittadini: qui è una dimensione concreta, reale, possibile.

D. Con te non posso non parlare di due argomenti: la finanza e la politica. Tu hai condotto alcune tavole rotonde del mio ex sindacato: come vedi il sistema bancario italiano oggi?

R. Innegabilmente, il sistema bancario italiano è stato stravolto dal fenomeno globale delle acquisizioni e delle fusioni. Non a caso la Uilca parla giustamente di ‘desertificazione bancaria’. La chiusura degli sportelli sul territorio è per l’Italia un problema sociale oltre che economico. La filiale locale garantiva la connessione tra credito e agricoltore, tra credito e artigiano, tra credito e piccolo commerciante. Spazzando via le filiali, un pezzo importante della nostra economia si è trovato scoperto e senza punti di riferimento. E se a questo, aggiungiamo la crisi globale economica e le incertezze geopolitiche, il quadro è completo. Certo si può obiettare che il trend della digitalizzazione è irreversibile, ma mi pare di notare anche da un recente rapporto Abi, che mentre la stragrande maggioranza delle banche di grandi dimensioni aumenta il budget destinato allo sviluppo del digitale, le piccole banche arrancano. Insomma, il rischio di scomparsa dei piccoli è più che reale. E poi l’Italia ha avuto (ha?) un grande problema di management, spesso non all’altezza.

D. Ma secondo te è giusto che i banchieri italiani siano così pagati, anzi strapagati?

R. I banchieri sicuramente sono strapagati, ci sono decine di studi comparativi che dimostrano una vergogna molto italiana.

D. Parliamo di politica. Cosa ne pensi del “Sig. Presidente del Consiglio on Giorgia Meloni” con tanto di comunicato ufficiale diramato dalla Presidenza del Consiglio?

R. Sono una femminista da sempre, ma so anche che non sempre le donne sono portatrici di valori di progresso. E Giorgia Meloni è una di queste. La società patriarcale fa vittime anche tra le donne, si sa. Riconosco a Meloni la capacità di essersi fatta strada in un mondo molto maschilista come quello dei partiti, ma – francamente – da lei mi divide quasi tutto. La rispetto, ma vorrei che parlasse e agisse di più da Presidente del Consiglio che non da boss politico. Anche se si sta sforzando, le manca ancora il pieno possesso di uno standing istituzionale. Ad esempio, anche se capisco la penuria dell’offerta, dovrebbe circondarsi di personalità e consiglieri più autorevoli.

Mariangela Pani – foto tratta dal web

D. Il Partito Democratico ha cambiato da poco segretario. Finalmente una donna. Che ne pensi di Elly Schlein?

R. E’ la vera novità della politica, e in quanto tale anche i sondaggi dimostrano che gli elettori di sinistra ripongono in lei molte speranze, perché è giovane, perché è donna, perché sembra, insomma, meno ‘politica’.  Però stiamo ancora aspettando un’opposizione dura al governo più di destra dal dopoguerra ad oggi (se si esclude la disgraziata parentesi del governo Tambroni). Per ora, Schlein ha puntato molto sui diritti civili, terreno scivoloso e non credo percepito dalla maggioranza degli italiani come priorità.  Ha ancora un po’ di tempo per svelarsi, ma il tempo stringe e il Pd, da principale partito dell’opposizione, deve cominciare a far sentire la sua voce.
D. Con due donne al vertice dei due maggiori partiti italiani secondo te cambierà qualcosa nella politica italiana?

R. Qualcosa è già cambiato, perché ricordo che non solo abbiamo in Italia Meloni e Schlein, ma abbiamo anche von der Leyen in Ue, Christine Lagarde alla Bce, Roberta Metsola presidente del Parlamento Europeo. Non dobbiamo più dimostrare che le donne possono governare. Rimangono però, come ho detto prima, i distinguo sulle politiche: una donna al governo non è necessariamente sinonimo di politica progressista, come già aveva dimostrato Margaret Thatcher.

D. Parliamo della violenza sulle donne. Che ne pensi? Di chi è la colpa?

R. Questa è davvero una domanda importante, perché la violenza sulle donne non è uguale dappertutto. E purtroppo l’Italia continua a detenere un triste primato: nel mese di marzo appena trascorso, quello in cui si celebra la Festa della Donna, sono stati commessi 14 femminicidi. Uno ogni due giorni. L’anno scorso a marzo le vittime erano state 9. Aumentano i casi e secondo i dati elaborati dal Dipartimento della pubblica sicurezza-Direzione centrale della polizia criminale del Viminale, nel 2022 c’era già stato un aumento del 12% di donne uccise: i casi erano stati ben 125 alla fine dell’anno. Più che di una colpa singola parlerei di un insieme di responsabilità: la cultura patriarcale in primis, ancora dominante in molte persone, che vede la donna come una proprietà maschile. Ma anche la responsabilità di un apparato sociale e istituzionale poco attento alla fragilità delle donne che ricordiamolo, sono quelle che più pagano la crisi economica: il tasso di disoccupazione tra le donne è altissimo (nonostante siano la popolazione più scolarizzata), le donne immigrate sono quelle che maggiormente fanno lavori in nero e sottopagate, in casi estremi, ma non rari, sono ridotte in schiavitù sessuale. In più alle donne tocca, comunque, la maggior parte del lavoro di cura di anziani e bambini. E spesso devono continuare a subire un marito violento perché non hanno una possibilità concreta di poter sopravvivere, loro e i loro figli, fuori da casa. Non ci può essere libertà senza un’indipendenza economica. Ma non ci può essere libertà senza neanche un aiuto concreto da parte delle istituzioni che dovrebbero garantire un rifugio sicuro alle donne minacciate e ai loro bambini. Eppure, i finanziamenti ai centri antiviolenza sono stati ridotti o addirittura eliminati. Senza soldi, non si possono fare politiche sociali decenti.

D. Due temi che sono all’ordine del giorno: migranti e guerra in Ucraina. Che ne pensi?

R. Sono due temi fondamentali. Sui migranti, sintetizzando, dico che la penso all’opposto di quanto detto e fin qui praticato dal governo Meloni: io credo che si debba accogliere chi fugge da fame, miseria, malattia e guerra. Non credo tanto neanche alla distinzione (per me pretestuosa) tra rifugiato politico e migrante economico. C’è differenza se tuo figlio appena nato muore per una bomba o muore perché nel tuo paese non c’è cibo né acqua? Il governo fa la guerra alle Ong, questo mi pare evidente: eppure loro salvano solo una piccola parte di migranti che arrivano in Italia. E questo fa pensare che il tema dei migranti sia usato solo per fini elettorali, mentre di concreto è stato fatto ben poco. C’è stata troppa strumentalizzazione e troppa politica del terrore, quando buona parte di chi approda sulle nostre coste è diretta in paesi del Nord Europa. Sull’Ucraina il discorso è troppo lungo e complesso per poterlo sintetizzare: dico solo che questo è un conflitto tra Usa e Urss combattuto tramite terzi, cioè Ucraina e noi europei. Ne vale la pena? Che cosa è davvero in ballo? E la storia delle terre che di fatto hanno scatenato il conflitto, quelle del Donbass, è una storia uguale a quelle di tutte le altre terre di confine tra diversi mondi: forse andrebbe istituito un protettorato internazionale, sottraendole alla contesa tra Russia e Ucraina. Di sicuro, continuando a mandare armi e senza che nessuno (a parte la Cina) abbia seriamente avviato un tentativo di conciliazione tra le parti, assisteremo solo ad un’escalation del conflitto.

D. Da buona giornalista, oltre ai quotidiani, leggerai molto. I tuoi autori preferiti?

R. Moltissimi: Fëdor Dostoevskij, il più grande di tutti a scrutare l’animo umano, ma anche Tolstoj, Thomas Mann, Isaac Singer, Marguerite Yourcenar, Pier Paolo Pasolini (per il quale nutro un amore profondo fin da ragazzina, quando leggevo i suoi ‘scritti corsari’ sul Corriere della Sera) e, venendo ai più contemporanei, Abraham Yehoshua, recentemente scomparso, autori nordici come Per Olov Enquist o molti autori islandesi (adoro i libri della casa editrice Iperborea), senza dimenticare Camilleri. Leggo anche molte poesie, che trovo un balsamo per l’anima. Oltre agli eterni Alda Merini e Giorgio Caproni, adoro Mariangela Gualtieri. In questo momento ho appena finito di leggere il bellissimo saggio di Massimo Recalcati, ‘La luce delle stelle morte’ e mi appresto a leggere, dello stesso Recalcati ‘La legge della parola’.

D. E a proposito di libri. Quando ne scriverai uno?

R. Come tutti, ne ho uno nel cassetto che forse, adesso che sono in pensione, riuscirò a finire. Per scaramanzia non dico niente, se non che è una storia che parte dagli anni ’40 ma che poi arriverà ai giorni nostri.

D. E se dovessi scrivere le mie memorie, saresti disponibile? Scherzo naturalmente!

R. Hai voglia! Naturalmente lo farei prendendomi molte licenze poetiche! E immagino molto tempo, viste tutte le cose che hai fatto e fai… toccherebbe anche fare un’appendice con le ricette!

D. Ora apriamo il capitolo Mariangela sui social. Che rapporti hai con i social?

R. Abbastanza buono. Ho sempre usato Linkedin e Twitter per cose di lavoro e Fb per le mie private. Sarò banale, ma la cosa che più mi ha fatto piacere è ritrovare tramite Fb un cugino di Firenze e una di Prato con cui non avevo più rapporti da 40 anni e alcuni compagni di scuola.  Mi fa sempre piacere avere scambi di opinioni, ma quando il confronto diventa offesa, tronco la conversazione anche se solo in pochissimi casi ho bloccato una persona.

Foto tratta da facebook


D. Una domanda che ho rivolto a tutte le mie amiche virtuali con cui ho conversato: mai avuto problemi con haters o molestatori?

R. Molestatori sì, purtroppo, sui luoghi di lavoro ed è stato veramente brutto. Essere oggetto di molestie sessuali è davvero mortificante e se ti accade quando la tua posizione lavorativa non è ancora del tutto consolidata, è anche una cosa molto difficile da gestire. Spero davvero che a nessuna donna accada mai più e che sempre più aziende adottino codici etici in questo senso. Haters, no. Si vede che sono una persona buona!

D. E cosa ne pensi delle influencer, tipo Ferragni?

R. A me Chiara Ferragni piace molto, ha un’età che potrebbe essere mia figlia e mi pare una donna coraggiosa e in gamba. È un’imprenditrice, non è solo ‘una che raccatta like’, e comunque, nonostante avesse già raggiunto un notevole successo, ha scelto di mandare messaggi non solo commerciali ma socialmente positivi: la promozione dei siti culturali, l’empowerment delle donne, il finanziamento alla rete dei Centri antiviolenza Dire. Averne di Chiara Ferragni, mi viene da dire! Di altre influencer che si mostrano solo per le grazie che Madre Natura (o il chirurgo estetico) ha loro concesso, francamente non mi interessa.

Chiara Ferragni – foto tratta dal web

D. Infine, come al solito, concludiamo imitando Marzullo: fatti una domanda e datti una risposta

R. Ah.. un bel test. Mi farei la domanda che mi sono sempre fatta nel corso della mia vita (sono le risposte che sono cambiate nel tempo!), cioè: “Che vuoi fare da grande?”. Rispondo così: “Avere sempre più tempo per Mariangela, viaggiare tanto, andare in piscina 3 volte alla settimana, coccolare i miei figli anche se ormai sono adulti, adottare tanti cani, vivere da persona perbene”. E, te lo giuro, mi sto attrezzando per farle tutte.


Che dire di questa conversazione-intervista? Nulla di più di meravigliosa, esemplare. E’ proprio vero che la classe si vede e fa la differenza.
Mariangela con questa conversazione che definirei “a tutto tondo” ci ha fatto conoscere un mondo – quello del giornalismo e quello dell’amore dei cani veramente incredibile.
La passione per il suo lavoro è emersa in ogni parola, l’amore per i “suoi umani”, pure.
E Mariangela non si è tirata indietro nemmeno nelle domande più difficile e provocatorie.
Devo farvi una confessione. Quando Mariangela mi ha mandato le risposte mia ha scritto che potevo tagliare o accorciare le risposte.

Ma quando mai!!!
E’ un piacevole leggerti Mariangela.

Anche questa è fatta. Ne sono uscito bene? Umberto avrà da criticarmi – in privato, naturalmente – ma io sono molto contento dell’esito di questa conversazione.

GRAZIE MARIANGELA, per il tempo che mi hai dedicato anche in un momento un po’ complicato della tua vita.


Questa che avete appena letto è l’undicesima conversazione-intervista che pubblico sul mio blog. Le precedenti sono:
1) Conversazione con Roberto Mantovani (@RobertoRedSox): un taxista bolognese differente pubblicata il 11 agosto 2022
2) Intervista-conversazione con Anna Salvaje (@annasalvaje): la donna misteriosa del 15 settembre 2022
3) Intervista a Rudy Bandiera (@rudybandiera): creator, influencer, professore, comunicatore del 21 settembre 2022
4) Conversazione-intervista con Dora Esposito (@doraebasta): “una bionda” da raccontare ed ascoltare attentamente del 10 ottobre 2022

5) Conversazione-intervista con Micaela Buschi: un’adorabile avvocato con tantissimi pregi e qualche difettuccio (che la rendono ancora più simpatica). “Imperdibile” come dicono i suoi fans del 21 ottobre 2022

6) Conversazione – intervista a Monica Lazzari, la Salentina dell’acca (H) finale. La Fornostar di ricette salentine e non solo del 17 novembre 2022
7) Conversazione-intervista con Maria Servidio, da Bari, con simpatia, umorismo e gioia di vivere del 28/11/2022
8) Conversazione-intervista con Antonella Carulli, da Gravina in Puglia al nord Italia con furore, per me la n.1 del 12 dicembre 2022
9) Conversazione-intervista con Annina Botta, una trentenne dalla penna facile ma dolce dolce (almeno così appare) del 11 gennaio 2023
10) Conversazione-intervista con Susi Comizzi, da Pesaro: in fondo volevo essere solo una hippy 🌺🌺🌺🌺🌺 del 23 gennaio 2023

Pubblicato da Massimo Masi

Blog di Massimo Masi. Bolognese di nascita, piantato nella pianura, con una forte propaggine verso il mare. Non sono più quello di ieri, non so come sarò domani. Ma posso dirti come sono oggi, con i miei ieri (Alda Merini)